Cronaca

Roma-Feyenoord, quel che resta del sacco della Capitale

Giovedì sera, a Roma, il posto più sicuro era lo Stadio Olimpico con migliaia di lanzichenecchi che asserragliati nella Curva Nord, sbronzi e placati inneggiavano a chissà quali nuove razzìe mentre sul campo due squadre celebravano svogliatamente le esequie del gioco del calcio.

Da luoghi di boati e sfrenate passioni, ormai completamente devitalizzati dal politicamente corretto e dalle combine, gli stadi somigliano sempre di più a certi cimiteri domenicali frequentati da vedovi devoti che si confortano sottovoce con un fiore in mano. Un mondo a parte governato da un occhiuto ministero della virtù, implacabile nel mettere alla gogna dei mille replay televisivi un calcetto negli stinchi o una parolina fuori posto. Senza contare lo zelo con cui alcuni farabutti matricolati, indecenti macchiette occupate a strapparsi di mano gli ultimi brandelli di un ex glorioso gioco, sanzionano qualunque muggito dalle tribune che possa anche lontanamente evocare la discriminazione razzista: la coda di paglia di chi è razzista dentro.

Assicurata dunque la desertificazione degli stadi, il problema è come arrivarci. Per non ripetere quanto già ampiamente letto sulla “Capitale indifesa in balia dei barbari” aggiungeremo sommessamente che, in fondo, i nazisti olandesi danno il loro fattivo contributo alla dissoluzione dell’Urbe ridotta, come confermato ieri dal sindaco Marino, a una Tripoli teverina militarmente spartita dal crimine organizzato. Le periferie saldamente controllate dalle milizie dello spaccio, i quartieri bene lottizzati dalla prostituzione di ogni sesso e forma mentre all’industria e al commercio sovrintendono mafia, camorra e ’ndrangheta, senza contare le lodevoli attività cooperative della banda della Magliana.

Ora, che le orde del Feyenoord abbiano provocato giganteschi ingorghi nel traffico capitolino, nulla può togliere o aggiungere al quotidiano calvario che vessa da sempre i disgraziati automobilisti. Certo, la fontana della Barcaccia in Piazza di Spagna, capolavoro di Pietro Bernini prima danneggiata dalle lattine Made in Nederland e poi trasformata in orinatoio a cielo aperto è un sovrappiù che genera giustamente generale sdegno. Anche se per Vittorio Sgarbi esiste la questione più ampia di un mondo sempre più invasivo “incapace di distinguere tra archeologia e spazzatura”. In fondo, una certa ferocia bestiale sembra assimilabile alla stessa logica del Califfato che arruola in Europa tagliagole e stupratori, anche se a differenza della brutalità gratuita della Het Legioen venuta da Rotterdam, gli hooligans del deserto sono lautamente retribuiti.

A proposito di quattrini, cosa dire delle autorità olandesi (a cui stiamo storicamente sulle palle a causa soprattutto del nostro esorbitante debito nazionale) che nega qualsiasi risarcimento al Campidoglio sprofondando nella barcaccia del ridicolo le tonitruanti minacce di Renzi & Marino del tipo: “Non finisce qui” e “Chi rompe paga”?

Poco di nuovo, insomma, sotto il sole di Roma, mentre come da copione il sindaco attacca il prefetto e il questore sulla sicurezza che non c’è, prontamente ricambiato. Con la scusa dei barbari, si regolano vecchi conti in sospeso, ma niente paura, tutto finirà come nella Terra dei Cachi di Elio e le Storie Tese, geniale inno patrio: “Il commando non ci sta e allo stadio se ne va, sventolando il bandierone. Italiasì, Italiano, Italia gnamme, se famo du spaghi”. Ma anche come dice l’anziano sceriffo nel romanzo di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi: “Quando non si dice più grazie e per favore, la fine è vicina”.

Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2015