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Sudamerica, tre donne sull’orlo di una crisi di nervi

Si appanna lo charme delle tre signore che governano i grandi paesi dell’America Latina: Dilma Rousseff, Michelle Bachelet, Christina Kirchner. Problemi sui quali incombe l’affievolirsi di economie fino a ieri irresistibili. I riflessi della crisi d’Europa hanno attraversato il mare, Obama punta Asia e Cina e la caduta delle materie prime inquieta i bilanci delle giovani democrazie. Hanno chiuso il 2014 con segni più zero-zero e qualcosa. Bonanza ormai lontana, galoppa l’inflazione male oscuro del passato: 60 per cento nell’Argentina impantanata nel default di 13 anni fa, quei bond spazzatura che una sentenza Usa obbliga a risarcire pronto cassa. Sarebbero campane a morto per la Banca nazionale.   

Brutte notizie dalla politica. Dilma Rousseff confermata sul filo di lana presidente del Brasile, viene umiliata nella prima seduta del Congresso. Sostiene la presidenza del candidato del suo partito ma vince Eduardo Cunha, destra socialdemocratica (Pmdb ) che rema nella coalizione di governo. La Rousseff immaginava di controllare ma non ce l’ha fatta. Comincia la via crucis del discutere “parola per parola ogni provvedimento”, bastone fra le ruote che le complica la vita. Bomba a orologeria sincronizzata alle dimissioni della presidente Petrobras, industria gigante del paese: 55 mila dipendenti. Graça Foster si arrende travolta dalla corruzione.   

Due anni fa, al suo insediamento, Rousseff l’aveva presentata come simbolo del Brasile in cammino: da “cartonera” nelle favelas al vertice dell’azienda simbolo. Adesso il sospetto di tangenti milionarie. Voci inquietanti la vorrebbero agnello sacrificato per coprire i traffici dell’entourage di Dilma. Impossibile coprire lo scandalo: la procura sta interrogando il tesoriere del Partito dei Lavoratori: mazzette, appalti, solite cose.

Giorni complicati anche per Michelle Bachelet. Sei anni fa aveva lasciato la presidenza del Cile con la popolarità di una star: gradimento all’84 per cento. Ritorna, trionfa, passano pochi mesi e precipita al 45. Un po’ la difficoltà di una coalizione di sette partiti dalla Democrazia cristiana ai comunisti. Soprattutto per non aver armonizzato i sentimenti della gente nelle grandi riforme annunciate durante la campagna elettorale: educazione gratuita, nessuna selezione discriminante degli studenti senza censo, ostacolo fondamentale nel paese dalle umilianti disparità educative. Promesse che andrebbero mantenute ma nei gironi della politica non è facile. Genitori e famiglie pretendono l’abolizione dei contributi statali alle scuole private, malumore che agita il radicalismo del movimento studentesco: torna in piazza dopo aver trascinato la Bachelet alla vittoria. Marciano per contestare le “riforma senza contenuto” mentre Michelle è alle prese con la Chiesa che si oppone alla legge sull’aborto. Querelle che spacca il paese. La potentissima Università Cattolica richiama all’ordine i deputati Dc uniti nella coalizione Bachelet e obbligo all’obiezione di coscienza per ogni medico credente soprattutto se in ombra Opus Dei. Ragazze, intellettuali e università laiche premono sulla presidente: aborto permesso solo nelle cliniche di lusso? Michelle naviga tra una sponda e l’altra mentre affievolisce l’economia del paese, produttore mondiale di rame dal prezzo che precipita.

In Argentina Christina Kirchner sopravvive nel tritacarne dei sospetti. La grande informazione non sopporta una terza rielezione a presidente e prova a inchiodarla nell’intrigo del procuratore Nisman assassinato mente si preparava a denunciarla per “benevola accondiscendenza verso i terroristi iraniani” colpevoli del massacro nella fondazione ebraica di Buenos Aires. Fotocopie dell’accusa del magistrato sulle prime dei giornali, sparati in Tv. Battuti al computer, appesantiti con correzioni a mano: la polizia li ha pescati nel cestino della spazzatura. A pagina 67 Nisma chiede al giudice istruttore l’arresto della Kirchner, del ministro Timerman e cinque agenti della polizia segreta subito sciolta. Paese diviso tra innocentisti e chi spinge Christina al rogo. A Roma Bergoglio tace. Il silenzio accende polemiche: per i protagonisti del governo papa rispettoso verso la magistratura impegnata a sciogliere il mistero; per gli avversari sintomo dell’ imbarazzo che lo sconcerta. Chiacchiere in attesa di chissà quale verità.

Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2015