Mafie

Arresti a Palermo, gli imprenditori denunciano gli estortori

Tra le persone finite in carcere anche il consigliere comunale Giuseppe Faraone, de Il Megafono di Rosario Crocetta. Il sindaco Leoluca Orlando annuncia che il Comune si costituirà parte civile contro di lui

Un cantiere che esponeva il cartellone dell’associazione antiracket Libero Futuro e un esponente politico del Megafono, il movimento del governatore antimafia Rosario Crocetta. Simboli della lotta a Cosa Nostra utilizzati soltanto come facciata, che sono andati in pezzi nell’ultima inchiesta della procura di Palermo. Tra le ventisette persone finite in manette nell’operazione Apocalisse 2 ( tra queste, ventidue erano già in carcere), condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri, dalla Squadra Mobile e dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, c’è anche Giuseppe Faraone, consigliere comunale di Palermo, esponente del Megafono, lista personale del governatore regionale: per lui l’accusa è di tentata estorsione aggravata.

L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene, Dario Scaletta e Annamaria Picozzi, ha ricostruito come Faraone abbia fatto da tramite tra i clan di San Lorenzo e un cantiere che esponeva il logo di Libero Futuro: nonostante facesse bella mostra dell’iscrizione all’associazione antiracket, il direttore tecnico del cantiere Antonino Arnone si è guardato bene dal denunciare la richiesta di pizzo. “Le indagini hanno evidenziato il tentativo degli indagati di avviare un contatto con Arnone mediante Giuseppe Faraone, già assessore alla Provincia di Palermo con deleghe ai Beni culturali, monumentali e artistici, alla Polizia provinciale ed ai controlli ambientali, nonché consigliere comunale di Palermo dal maggio 2012” scrivono gli inquirenti. L’inchiesta ha documentato i contatti tra Faraone e Fabio D’Alessandro, reggente del clan di San Lorenzo, finito in manette nella prima tranche dell’inchiesta Apocalisse, quella che nel giugno scorso aveva fatto scattare le manette ai polsi di un centinaio di boss: tra loro anche Vito Galatolo, il picciotto dell’Acquasanta, che ha poi deciso di “saltare il fosso” e collaborare con la magistratura, svelando il piano di morte per assassinare il pm Nino Di Matteo.

“Prima di scendere dall’auto, D’Alessandro telefonava a Faraone Giuseppe e, nell’ambito della telefonata gli riferiva di trovarsi presso il suo ufficio” scrivono gli inquirenti, che poi spiegano che l’ufficio altro non era che la sede della commissione urbanistica del consiglio comunale palermitano. Partito nei socialisti, poi migrato nell’Udeur, nell’Udc, e nella Margherita, Faraone ha un passato da cambiacasacca imperterrito: tra il 2008 e il 2010 è stato assessore ai beni culturali della provincia di Palermo, in una giunta di centro destra. Poi, nel maggio del 2012, fu eletto a Sala delle Lapidi, raccogliendo 896 voti con la lista Amo Palermo, emanazione dei Popolari d’Italia Domani di Saverio Romano, che durante la campagna elettorale perse un candidato al consiglio comunale, Vincenzo Ganci, arrestato per concorso esterno a Cosa Nostra. In quel caso sia il partito di Romano, che l’Udc (alleato del Pid) smentirono di avere indicato la candidatura di Ganci.

Uno scaricabarile che non andrà in onda questa volta, dato che dopo l’elezione, Giuseppe Faraone ha aderito al Megafono di Crocetta, candidandosi alle elezioni regionali dell’ottobre del 2012: un’elezione mancata nonostante gli oltre duemila voti raccolti, dato che alla fine Faraone fu il primo dei non eletti. Il 22 gennaio scorso il consigliere è passato al gruppo consiliare “Megafono – Noi con Salvini“, di cui è anche capogruppo, come si vede nell’immagine sottostante, tratta dal sito ufficiale del Comune di Palermo. Il segretario leghista, tuttavia, ha specificato di non conoscere Faraone, annunciando “querele a pioggia” nei confronti di chi lo associ alla sua nuova creatura politica. 

 

Il suo nome era già saltato fuori nel giugno del 2014, quando D’Alessandro era finito in manette. Gli investigatori legavano il nome di Faraone a quello di Arnone, titolare di un’azienda che commercia macchine agricole: dopo il blitz Addiopizzo sospese la società che aveva aderito all’associazione antiracket senza però denunciare le richieste estorsive. “Io – si era difeso Faraone in un’intervista – non possono negare di conoscere D’Alessandro, dato che siamo entrambi di San Lorenzo ed è capitato di prendere un caffè al bar. Ho conosciuto Arnone per motivi di lavoro, ma non lo vedo da anni. Io non ho mai fatto incontrare nessuno, non avrei avuto alcun interesse a fare da mediatore. Per questo le dico che non posso e non potrò essere indagato. Se mi dovessero convocare spiegherò tutto”. Tra poche ore potrà fornire il suo punto di vista ai pm nell’interrogatorio di garanzia.