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Ucraina, i giocattoli-bomba non passano mai di moda

Vittime disabili di mine antiuomo in AfghanistanUn coniglietto azzurro, una bambola vestita di rosa, una macchina rossa a pedali, una scatola di dolci. Sotto le bombe, i giocattoli assumono una funzione non solo ludica: aiutano i bambini a elaborare psicologicamente le mostruosità a cui assistono, facendole mimare ai giocattoli. I dolci, come qualsiasi tipo di cibo, durante le guerre scarseggiano e poi finiscono. Se se ne trova una scatola, come non prenderla? E gli adulti, gli orchi che costruiscono armi, i politici che scatenano i conflitti, lo sanno bene.  

Per questo dentro ai giocattoli , da decenni, vengono nascoste le mine eufemisticamente chiamate antiuomo. Quelle non letali, ma in grado di mutilare e rendere invalidi i bambini. L’ultimo a denunciare l’uso dei giocattoli-bomba è stato il primo ministro ucraino Yatsenyuk. In una conferenza stampa ha denunciato il ritrovamento di questi “giocattoli” nel Donbass dove la guerra tra l’esercito di Kiev e i separatisti filorussi si è nuovamente acutizzata: “I separatisti vogliono distruggere il futuro dell’Ucraina, rendendo invalidi

i bambini facendogli saltare gli arti o rendendoli paralizzati a causa delle schegge”.  
Il primo in Italia a raccontare nei dettagli le conseguenze catastrofiche di queste armi è stato Gino Strada (il chirurgo di guerra fondatore di Emergency) nel libro intitolato Pappagalli verdi: due ali di plastica verde con al centro un piccolo cilindro pieno di esplosivo hanno volteggiato per anni sul cielo afghano, posandosi poi nei cortili, nei campi, tra le case, come regali per offrire un momento di svago dall’orrore.  I ‘Pappagalli verdi sono mine inventate dagli scienziati dell’Unione Sovietica, ma non fu solo l’aviazione russa a lanciarle dagli elicotteri militari. Furono dispiegate anche in Vietnam. In Afghanistan sono state gettate dagli elicotteri con effetti devastanti dai sovietici. “Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire”, ha scritto Strada.  Durante i suoi vent’anni sul campo, il chirurgo italiano ha visto “pappagalli verdi” ovunque: in Bosnia, in Somalia, in Etiopia, a Gibuti, nel Kurdistan iracheno, in Cambogia. E ogni volta che ha fatto il suo lavoro di chirurgo tagliando e ricucendo quelle povere carni deve essersi posto le stesse domande sulla diabolica ferocia umana.
A farne un uso spietato sono stati in tanti, uno per tutti Pol Pot in Cambogia durante la guerra civile, ma anche nelle guerriglie del centro America sono state usate. Non sono però solo i leader che ordinano ai loro eserciti di usarle, i colpevoli. Che dire di coloro che le fabbricano? Fino al 1997 noi italiani ne siamo stati i più esperti e sofisticati assemblatori. Le mine antiuomo sono state messe al bando dal Parlamento italiano con una legge, la numero 374 del 29 ottobre 1997, che ne vieta la progettazione, la produzione e il commercio. Ma ci sono voluti anni di discussione e due legislature. Allo scopo di proibire la produzione e l’uso di mine antiuomo, molti paesi Onu hanno sottoscritto il Trattato di Ottawa del 1997, il cui obiettivo è l’eliminazione definitiva. L’accordo ha tuttavia visto il rifiuto di 36 Stati fra cui tutte le superpotenze: Usa, Russia, Cina, India e Pakistan.  

L’odiosità di questi strumenti di morte è accentuata dalla loro immortalità: finché non vengono ritrovate, continuano a rimanere una minaccia subdola. Ancora oggi in Cambogia ci sono zone dove è proibito andare perché ancora da sminare. Trovare i “pappagalli verdi” e altri piccoli giocattoli in mezzo al verde della giungla o sotto la neve del Donbass non è facile e spesso a riuscirci sono proprio i bambini, che amano scavare e andare a cercare immaginari tesori nei luoghi più improbabili e indifferenti agli adulti. I loro carnefici.

Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2014