Scienza

Big Bang, dietrofront degli astrofisici: “Nessuna traccia onde gravitazionali”

Disegnata dalla sonda spaziale dell’Esa (European space agency) Planck, una immagine smentisce l’osservazione indiretta delle onde gravitazionali primordiali, annunciata con grande enfasi la scorsa primavera dagli astrofisici dell’esperimento Bicep2, basato al Polo Sud

C’è un’immagine che, agli occhi di un osservatore inesperto, colpisce subito per la bellezza dei colori e il tratto, che possono far pensare ad alcune tele di Van Gogh. Ma l’immagine racconta molto di più. In particolare, ad astrofisici e cosmologi. Disegnata dalla sonda spaziale dell’Esa (European space agency) Planck, smentisce l’osservazione indiretta delle onde gravitazionali primordiali, annunciata con grande enfasi la scorsa primavera dagli astrofisici dell’esperimento Bicep2, basato al Polo Sud.

I segnali catturati in Antartide non provengono, infatti, dagli albori del cosmo, ma proprio dalla polvere interstellare della nostra galassia

Tra i colori accesi che rappresentano le emissioni interstellari della Via Lattea, e la tessitura che indica, invece, l’orientamento del campo magnetico galattico, i primi tremori del Big Bang vanno letteralmente in polvere. Secondo le ultime analisi, in corso di pubblicazione sulla rivista “Physical Review Letters”, i segnali catturati in Antartide non provengono, infatti, dagli albori del cosmo, ma proprio dalla polvere interstellare della nostra galassia. “Questo tipo d’immagini descrive le onde elettromagnetiche provenienti dal cielo, soprattutto quelle prodotte dalla polvere interstellare nella nostra galassia – spiega Paolo De Bernardis, astrofisico dell’Università La Sapienza di Roma, uno degli scienziati che hanno interpretato i dati di Planck -. Nulla di artistico, in realtà. Trattandosi di radiazione non visibile, sono stati utilizzati falsi colori per esprimere il livello di intensità luminosa: le zone più rosse corrispondono a direzioni da cui arriva più intensità elettromagnetica, e le più blu quelle da cui ne arriva meno, mentre le linee ne rappresentano la polarizzazione”.

Sono stati gli stessi autori delle prime osservazioni, con la collaborazione dei colleghi di Planck e dei telescopi Keck Array del Polo Sud, a smentire il loro primo lavoro. Dimostrando, come avvenuto per i neutrini sospettati di viaggiare più veloci della luce, che la scienza, sebbene offra la migliore approssimazione della realtà, procede sempre nel dubbio. “Quando un anno fa abbiamo catturato per la prima volta il segnale – sottolinea John Kovac, che coordina il team di astrofisici di Bicep2 -, ci siamo affidati ai modelli di emissione della polvere galattica disponibili all’epoca”. In altre parole, il team di Bicep2, avendo osservato una regione di spazio considerata relativamente incontaminata dalla polvere, ha interpretato il segnale come di probabile origine cosmologica.

Sono stati gli stessi autori delle prime osservazioni, con la collaborazione dei colleghi di Planck e dei telescopi Keck Array, a smentire il loro primo lavoro

Le prime perplessità sulle reali origini del segnale captato da Bicep2 affiorano, all’interno della comunità scientifica internazionale, già all’indomani dell’annuncio dell’osservazione delle onde gravitazionali. Poi, a settembre, la prima mappa della polvere interstellare galattica realizzata da Planck inizia a dare concretezza a quello che fino ad allora era solo un sospetto. Adesso gli ultimi dati sgombrano il campo da ogni dubbio. “Quello che si è capito, analizzando in collaborazione i dati di Planck e quelli di Bicep2 – spiega De Bernardis – è che il segnale misurato da Bicep2 è per almeno metà dovuto alla polvere interstellare nella nostra galassia. Quindi, le onde gravitazionali primordiali potrebbero rendere conto al massimo dell’altra metà, ma la sensibilità degli strumenti utilizzati non è sufficiente per affermarlo con certezza. L’analisi dei dati di Planck, che nel lavoro in collaborazione sono stati usati per misurare in dettaglio gli effetti della polvere della nostra galassia, sta continuando e – aggiunge l’astrofisico italiano – produrrà nei prossimi mesi delle stime ancora più precise di questo effetto di disturbo locale”.

Le prime perplessità sulle origini del segnale captato da Bicep2 affiorano, all’interno della comunità scientifica, già all’indomani dell’annuncio

Ma cosa dobbiamo aspettarci dallo studio dell’universo bambino, a 50 anni dall’osservazione dei suoi primi vagiti, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo? “Questa settimana – annuncia De Bernardis – verranno pubblicati i risultati dell’analisi dell’intera missione Planck, che fornirà ad esempio misure più precise sulla massa dei neutrini. Penso che in futuro vedremo una sinergia sempre più profonda tra chi studia la fisica fondamentale con esperimenti di laboratorio, e chi lo fa osservando l’universo, ed in particolare il fondo cosmico di microonde – spiega lo studioso -. Forse tra alcuni decenni potremo guardare all’universo con occhi diversi, attraverso i neutrini o le onde gravitazionali. Ma – conclude De Bernardis – per queste due astronomie siamo ancora ad uno stadio simile a quello che per l’astronomia elettromagnetica è stato l’introduzione del telescopio da parte di Galileo”.

Il preprint dello studio per le Physical Review Letters

Fonte: ESA/Planck Collaboration. M.-A. Miville-Deschênes, CNRS – Institut d’Astrophysique Spatiale, Université Paris-XI, Orsay, France 

L’immagine mostra la porzione di cielo osservata dai telescopi del polo Sud, Bicep2 e Keck Array, (parte punteggiata in bianco), ampliata e corretta da Planck