Società

Charlie Hebdo: dopo Parigi, coltiviamo il coraggio della civiltà in Italia e nel mondo

La serie di orribili attentati avvenuta a Parigi ci mostra con grande nitidezza come, in questi tempi oscuri di conflitto ed insicurezza globali, molto grandi sono le prospettive di ulteriori escalation dell’intolleranza e della violenza. Quali sono dunque le possibilità per la pace tra i popoli? Quali sono, di fronte a questo drammatico incombente scenario, gli obblighi dei paesi civili a protezione del bene comune, della vita umana e del futuro del pianeta? Qual è la nostra immediata responsabilità come cittadini? E prima ancora, in cosa consiste la «civiltà»? Che cosa fa sì che un paese, un popolo, una società, una cultura divengano, siano e rimangano «civili»?

Secondo il dizionario d’italiano Sabatini Colletti, la civiltà è l’«insieme delle forme economiche, sociali, politiche, culturali specifiche di un popolo in una data epoca», nonché una «forma elevata di organizzazione sociale raggiunta grazie a un adeguato sviluppo di conoscenze materiali e intellettuali». Per estensione, la civiltà è educazione, rispetto per gli altri, ed è associata a concetti quali «garbo» e «urbanità».

«Civile» è a sua volta un aggettivo «che concerne il cittadino di uno Stato, specialmente nel suo rapporto con gli altri cittadini». Il valore civile è «quello che consiste nel compiere un’azione altruistica anche a rischio della propria vita e che può avere un pubblico riconoscimento», come per esempio l’ottenimento di una medaglia al valore civile. È civile, secondo la lingua italiana, colui che è «rispettoso dei diritti e delle esigenze altrui », cioè, chi è educato. Lo Stato civile «non è militare né ecclesiastico», ed «è caratterizzato da quel grado di sviluppo sociale, economico, culturale che comunemente si definisce come civiltà». Infine, allo stato civile, corrispondono diritti civili, ovvero «quelli, sanciti dalla costituzione di uno stato, di cui tutti i cittadini godono, salvo la loro perdita o sospensione a seguito di una condanna».

Si comprende dunque che il paese civile è quello che assicura a tutti i suoi cittadini senza discriminazione il godimento e l’esercizio dei diritti umani sanciti dalla Costituzione, e per estensione dall’insieme di convenzioni e trattati internazionali, il cui rispetto soltanto permette ad una nazione e ad un popolo di sedere al tavolo dei paesi civili della terra. Per questo, quello che stiamo vivendo non è tanto uno scontro tra civiltà (al plurale), ma piuttosto una terribile lotta tra la «civiltà», intesa come «cittadinanza» portatrice e garante di diritti individuali e sociali, e concezioni della società autoritarie, totalitarie ed assolutiste, che proprio a causa delle dimensioni violente, militari e religiose, ai sensi della lingua italiana, non possono essere considerate civili.

In questa fase più che mai abbiamo dunque bisogno di una guida, un manuale di civiltà, che, malgrado le emozioni e paure straordinarie suscitate dai recenti tragici eventi, e da quelli che verranno, ci ricordi ad ogni passo che la civiltà rimane la sola opzione per la pace e che noi stessi dobbiamo seguire i principi civili, affinché la pace prevalga (e non c’è pace senza giustizia). Questi principi-guida esistono, sono proclamati, in Italia, dalla Costituzione Italiana, ed in tutti i paesi, dal diritto internazionale dei diritti umani; ed il custode globale di questo «manuale dei principi della civiltà umana» è l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Si è già molto discusso e si potrebbe ancora discutere a lungo quanto all’efficacia, ai poteri ed ai risultati dell’Onu nei suoi ambiti di competenza, dal mantenimento della pace allo sviluppo sociale ed economico; tutto ciò non elimina in ogni caso le responsabilità dei paesi civili quanto alla realizzazione degli obblighi da essi ed a nome nostro sottoscritti in materia di diritti umani: anche in guerra, i diritti umani, il diritto umanitario ed i diritti dei rifugiati continuano ad applicarsi. Certo, non sembra facile nemmeno a parole, ma in pratica, qual’è la nostra immediata responsabilità come cittadini, quale la nostra influenza, cosa possiamo fare noi? Come possiamo incidere sul corso degli eventi e chiedere ai nostri paesi di rimanere fedeli ai principi di civiltà?

Intanto, teniamo sotto controllo, in questi momenti concitati, i nostri pensieri, le nostre emozioni, e pensiamo a comunicare tra noi in maniera responsabile, senza attizzare ulteriori fuochi e costruire ulteriori muri tra noi, mossi da istinti fuori controllo nell’assordimento mediatico. In questa «civiltà digitale», sono innumerevoli le migliaia di scritti di persone ordinarie del mondo intero che viaggiano in rete trasudando odio, rabbia da sfogare, e una gran voglia di menare le mani, mettendo tutti contro tutti, sviluppando osceni appetiti di guerre «civili » ed «incivili». Controlliamo il nostro linguaggio se vogliamo dialogare con chi la pensa ugualmente o diversamente da noi; a tutti i livelli intorno a noi, evitiamo di esasperarci a vicenda. Sorvegliamo i nostri atti e le nostre omissioni, tanto nella nostra sfera privata, come nei nostri rapporti con la società e con gli altri… e restiamo umani, come ricordava giustamente Vittorio Arrigoni, anche quando non è facile.

Per restare civili, rimanere umani, in tempi disumani, ci vuole coraggio. Ha avuto bisogno di coraggio, il Capitano Mbaye Diagne, Senegalese, musulmano, per salvare centinaia di persone in Ruanda nel 1994. E ne ha avuto bisogno anche Pierantonio Costa, Console Onorario d’Italia in quello stesso paese, in quello stesso periodo, per portare in salvo oltre duemila persone, allestendo convogli a sue spese, bardandoli di improvvisate bandiere italiane cucite insieme da Mariann, sua moglie (ed in Ruanda, come in tempi più recenti a Lampedusa, la bandiera italiana ha rappresentato spesso la differenza tra la vita e la morte). Ha bisogno di coraggio il capitano che resta fino all’ultimo sulla nave in fiamme a evacuare i passeggeri; ne hanno avuto bisogno ai tempi loro Gino Bartali, Giorgio Perlasca, Antonia Locatelli, Raoul Wallenberg, Lassana Bathily e tanti altri ordinari cittadini che si sono assunti e tuttora si assumono le proprie responsabilità, anche quando ciò comporta rischi eccezionali, e hanno fatto e fanno quello che la coscienza, e l’educazione ricevuta fin da bambini, imponevano loro di fare: restare civili, restare umani.

In questo 2015 che comincia con minaccioso fragore di kalachnikov, impegnamoci ad agire sempre con un secondo di anticipo per proteggere la civiltà e la pace, il mutuo rispetto, la vita umana, la giustizia e la libertà, in Italia ed ovunque. Tutto è ugualmente urgente : riportare a casa sane e salve, al più presto, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo ; vegliare alla piena tutela della vita e dei diritti dei militari italiani al servizio del Paese in Italia ed all’estero;  proseguire in casa nostra la lotta contro il crimine, il terrorismo, le mafie ; continuare a soccorrere i migranti dalle profondità del mare ; agire in favore dei poveri e dei sofferenti, dare un tetto a chi vive per strada, un piatto a chi ha fame.

E soprattutto è urgente che si comprenda che non torneremo più indietro, e che ora o mai più, o impareremo a vivere insieme come fratelli e sorelle, o periremo insieme come idioti.  Così come milioni di stranieri vivono in Italia, ci sono altrettanti Italiani che cercano una vita migliore nel mondo; e vi è un legame stretto e diretto tra la tutela della pace sociale e la protezione delle minoranze straniere in patria, la reputazione internazionale dell’Italia quale paese civile, e la sicurezza dei cittadini italiani nel mondo, che si tratti di volontarie, giornalisti, militari, funzionari, commercianti, pellegrini, migranti, o semplici viaggiatori in questo mondo che è di tutti.

 

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