Società

Charlie Hebdo: se la libertà dell’uno è reato per l’altro

Nel 1978, subito dopo l’elezione di Papa Wojtyla, il Male, settimanale satirico dell’epoca molto vicino come modalità di espressione al Charlie Hebdo di oggi, pubblicò una vignetta nella quale si vedevano due passeggeri in tram, uno dei quali chiedeva all’altro: “Frocio?” mentre l’altro rispondeva: “No, Polacco!”.

La pubblicazione suscitò, come comprensibile, sdegnate reazioni da parte di Chiesa, media e opinione pubblica; la settimana successiva, per tutta risposta, il Male propose un’altra vignetta, nella quale il colloquio tra gli stessi due passeggeri diveniva: “Polacco?” con risposta: “No, frocio!”

All’epoca le vignette mi parvero molto divertenti; oggi (si invecchia) le trovo di cattivo gusto, inopportune e offensive nei confronti di cattolici e gay; quella che è rimasta immutata, invece, è la mia opinione che sia necessario consentire a chiunque di esprimere i propri pensieri, anche se deprecabilmente squallidi, purché nel fare ciò non violi leggi o causi danni materiali o morali, nel qual caso se ne dovrebbero prendere cura i magistrati.

Tornando ai fatti del 1978, al di là di reazioni sdegnate, a nessuno venne in mente di armarsi e andare a fare strage della redazione de il Male, della qualcosa sono grato perché altrimenti non avremmo avuto successivamente le vignette di Vincino e quelle di Vauro Senesi le cui idee condivido molto poco ma a cui vorrei fosse garantita la possibilità di continuare a esprimerle a piacimento.

Neppure quando Charlie Hebdo ha pubblicato vignette dissacranti (anch’esse di pessimo gusto) sulla religione cristiana è venuto in mente ad alcun fondamentalista di sterminarne la redazione; questa differenza sostanziale nel tipo di reazioni a provocazioni sostanzialmente simili pone una domanda piuttosto ovvia: perché?

Credo che la differenza stia nei tempi di evoluzione delle società e delle religioni; le stesse pulsioni integraliste hanno pervaso il cristianesimo quando i suoi interpreti autonominatisi hanno deciso di evangelizzare nel sangue il continente sudamericano e quando l’inquisizione accendeva roghi per eliminare chi deviasse dall’interpretazione canonica. Questo accadeva oltre 500 anni fa e da allora le società occidentali hanno imparato a vaccinarsi contro l’ingerenza della religione nella vita dei cittadini e a separare nettamente la legge di Dio (per chi ci crede) da quella dell’uomo, che regola il vivere civile. E’ assai probabile che un processo analogo avverrà con il tempo anche per l’Islam, che è di 700 anni più giovane del cristianesimo, anche se c’è una qualche complicazione dovuta alla differenza che passa tra il “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” e il ritenere che la legge divina debba divenire quella dello stato.

Ma noi viviamo qui, oggi e dobbiamo fare i conti al meglio con ciò che la realtà ci propone e che è il crescente mescolarsi di popoli con tradizioni, culture e soprattutto religioni molto diverse tra loro; alcune differenze sembrano inconciliabili; per fare alcuni esempi: l’adulterio è, stando alle statistiche, un costume diffuso nei paesi occidentali, mentre è punibile con la morte secondo la sharia; analogamente la blasfemia. Rinnegare una religione per abbracciarne un’altra o anche nessuna non è in Occidente neppure cosa degna di attenzione, mentre l’apostasia merita di nuovo la pena di morte secondo la sharia. Dopo anni di discussioni civili, l’omosessualità in Occidente sta ricevendo (al netto di sacche di resistenza di menti deboli) il riconoscimento di diritti civili eguali a quelli degli eterosessuali mentre per la legge dell’Islam costituisce un reato punibile; in molti luoghi persino con la morte.

Anche dove si accettasse la non sovrapposizione tra legge divina e codice civile, sembra difficile la convivenza senza problemi; infatti un fanatico che vivesse in un paese con legge occidentale si troverebbe in una posizione critica ogni qual volta vedesse commettere ciò che per lui è un peccato/reato (anche gravissimo) ma che per le leggi del luogo è un fatto normale, come le citate blasfemia, adulterio, omosessualità; nel tragico caso di Charlie Hebdo ha prevalso la necessità di punire i blasfemi con la pena reputata appropriata: la morte, così commettendo quello che secondo le nostre leggi è il reato più grave: l’omicidio.

Qui si sta parlando di punti di vista così diversi che lo stesso atto è considerato giustizia irrinunciabile (un dovere interiore) per alcuni e reato efferato per altri; non si tratta più di negoziare un quieto convivere, ma di dovere qualcuno rinunciare a un punto fondante delle proprie credenze più intime.

Come se ne esce? Certamente non facendo finta che le differenze siano ignorabili ma prendendone atto e di conseguenza mettendo in essere tutte le azioni necessarie a identificare (e respingere) i fanatici integralisti, nello stesso tempo essendo intransigenti sul mantenimento dei diritti che hanno richiesto secoli per affermarsi nelle nostre nazioni.

L’idea espressa da Giannuli (M5S) di far prestare una dichiarazione giurata di “accettazione di osservanza della Costituzione del Paese e di accettazione dei valori di libertà, di tolleranza religiosa, di laicità dello Stato, di eguaglianza fra i sessi” non mi pare per nulla peregrina e potrebbe davvero aiutare a distinguere chi accetterà di vivere con le nostre regole da chi probabilmente rifiuterebbe di fare un falso giuramento di fronte al proprio Dio.

Dall’altro lato andrebbe diffusa, incoraggiata e anche normata la tolleranza su tutti gli aspetti che attengono alla fede individuale delle persone, ad esempio riconoscendo il diritto (anche in luoghi pubblici) all’uso di simboli religiosi quali veli, crocifissi, kippah e alla santificazione delle proprie feste, consentendo a tutti di astenersi dal lavoro nelle proprie festività religiose. Purtroppo proprio la Francia ha intrapreso la strada opposta, vietando l’esposizione di simboli religiosi in luoghi pubblici.

Non è attraverso la soppressione delle manifestazioni religiose innocue che si promuove una società armonica, ma attraverso la fermezza sul rispetto delle leggi vigenti e frutto spesso di processi secolari. In fondo nessuno sano di mente penserebbe di voler andare a compiere azioni vietate in un paese straniero, qualsiasi esso sia.

Nessuno obbliga noi occidentali ad andare a vivere in paesi stranieri, ma se lo facessimo avremmo il dovere di rispettare le leggi dello stato lì vigenti, siano esse di matrice religiosa o laica. Allo stesso modo dobbiamo vigilare sul fatto che chi viene qui sia accolto con estremo rispetto del suo bagaglio di cultura e religione ma che sia osservante delle nostre leggi. E potrebbe essere che la vigilanza porti alla necessità di espellere o non accogliere chi sull’osservanza di quelle leggi, di quei diritti per noi ormai irrinunciabili, non sia disposto a impegnarsi ferreamente.

Primo fra quei diritti deve spiccare quello alla libertà di espressione, di qualsiasi espressione, anche la più stupida o irriverente, magari valutando a livello legislativo se l’offesa alla religione di qualcuno, qualsiasi essa sia, non debba essere assimilata all‘ingiuria, all’insulto, a espressioni omofobiche e sanzionata nello stesso modo.

Una cosa è certa: la tragedia di Charlie Hebdo ci dice senza dubbio che il modello di integrazione pensato fino a ora non funziona.

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