Politica

Norma salva Berlusconi, Fassina attacca: ‘Renzi dica chi l’ha voluta e chi l’ha scritta’

L'ex responsabile nazionale Economia del Partito Democratico: "Un articolo non entra per caso in un testo di legge - spiega a IlFattoQuotidiano.it - soprattutto se in precedenza è stata contestata dal Ministero dell'Economia". Sandra Zampa, vicepresidente del Pd: "L'esecutivo faccia chiarezza: individui il responsabile e lo allontani"

Una norma firmata da una mano ignota che potrebbe garantire l’agibilità politica a Silvio Berlusconi. Dieci giorni dopo l’ok del Consiglio dei ministri al decreto di attuazione della delega fiscale contenente l’ormai famoso articolo 19 bis che ha fatto scoppiare l’ennesima polemica sul governo, non è dato sapere chi abbia materialmente scritto e inserito la norma nel decreto. Di certo si sa solo che la modifica è stata vagliata dal dipartimento affari giuridici della Presidenza del Consiglio, guidato da Antonella Manzione, fedelissima renziana, ex capo dei vigili urbani di Firenze. “Un articolo non entra per caso in un testo di legge – spiega Stefano Fassina a IlFattoQuotidiano.it – soprattutto se in precedenza è stata contestata dal Ministero dell’Economia, che è responsabile del testo in prima battuta. La prima cosa che il governo deve fare è chiarire una volta per tutte chi ha scritto quell’articolo. Esiste una responsabilità precisa sia sul piano tecnico che su quello politico e sarebbe irricevibile da parte del governo una spiegazione che non faccia luce su entrambi i punti: chi ha voluto la norma e chi l’ha scritta e inserita nel decreto”.

“Ricostruire la genesi del testo è possibile e, soprattutto, è doveroso – continua l’ex responsabile Economia del Partito Democratico – la fonte iniziale è il Mef, mentre il coordinamento legislativo è competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. “E’ una vicenda che , in ogni caso, mette in luce l’approssimazione e la disinvoltura con cui agisce chi maneggia le leggi, il che non non può riverberarsi sull’intero processo legislativo”. “E poi c’è un secondo punto, che è politico – continua Fassina – il testo triplica la soglia per la definizione di reato penale, portandola da 50 a 150mila euro, e stabilisce che chi emette o utilizza fatture false non può essere perseguito se il valore della truffa è inferiore a mille euro. Sono modifiche che vanno eliminate subito perché il principio è sbagliato: più si evade, più si viene premiati”.

Con il polverone ormai alto, il governo ha fermato l’intero ingranaggio e bloccato il decreto chiedendo “agli uffici di non procedere alla formale trasmissione alla Camera del testo”, ma il problema rimane: in pieno periodo natalizio – il 24 dicembre – quando l’attenzione dell’opinione pubblica è allentata dall’inizio delle feste – il Cdm ha varato un testo contenente una norma che potrebbe garantire una nuova vita politica a uno dei due contraenti del Patto del Nazareno e il premier cade dal pero assicurando che “non c’è nessuna norma ad personam o contra personam“, ma che “questa norma la rimanderemo in Parlamento soltanto dopo l’elezione del Quirinale, dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano“.

“Disciplinare l’abuso di diritto, dare certezze a investitori e cittadini, stangare i veri colpevoli e smettere di ingolfare i tribunali – si legge nella nota diramata in mattinata da Palazzo Chigi – con questo spirito il Governo ha votato nell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri la prima lettura del decreto delegato. Lo ha fatto discutendo articolo per articolo, su tutti i punti in discussione”. Quindi i membri dell’esecutivo erano a conoscenza del’articolo in base al quale l’evasione e la frode sono depenalizzate se l’Iva o l’imposta sul reddito evasa non supera “il 3% rispettivamente dell’imposta sul valore aggiunto o dell’imponibile dichiarato”. Resta da capire se sapevano anche che in base all’articolo 2 del Codice Penale “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Una combinazione di decreto fiscale e codice penale grazie alla quale Berlusconi potrebbe veder annullata la decadenza dalla carica da senatore scattata in base alla legge Severino dopo la condanna a 4 anni per frode fiscale: una frode che, appunto, risulta molto al di sotto della soglia del 3% di non punibilità.

Nel Pd la norma ha causato diversi mal di pancia. “Bene le rassicurazioni di palazzo Chigi, ma non basta il rinvio a dopo l’elezione al Quirinale. La cosa in sé va rigettata. Non potrei stare un minuto di più in un partito che avallasse una tale porcata. Voglio sapere se, nel confezionare la norma, vi sia stata una ‘manina‘”, attacca Franco Monaco. “Ora, se il premier non ne sapeva nulla, se il Mef dice di non averlo visto, se il ministro della Giustizia ha espresso le perplessità che si leggono sulla stampa, chi ha portato quel testo al Consiglio dei ministri? – domanda Pippo Civati sul suo blog – un’idea ce l’ho: il decreto, conoscendo l’Italia, si è scritto da solo, a insaputa di tutti, secondo la migliore tradizione politica degli ultimi anni, fotografando così la realtà e la responsabilità delle classi dirigenti di questo povero Paese. Che possa riguardare Berlusconi è solo un caso, ovviamente”

“E’ un articolo che avrebbe un effetto talmente eclatante che mi meraviglierebbe che qualcuno pensasse di farlo passare inosservato – spiega a IlFattoQuotidiano.it Sandra Zampa, vicepresidente del Pd – un provvedimento studiato per salvare Silvio Berlusconi è una bomba che prima o poi ti esplode tra le mani e con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica alle porte e la legge elettorale da approvare siamo in un momento in cui non puoi dare l’impressione di fare qualcosa simile a un inciucio. Ma sono rassicurata dal fatto che il premier ha fermato il decreto. Ora il governo faccia chiarezza: individui il responsabile e lo allontani“.

Impossibile, tuttavia, non ricollegare l’accaduto al Patto del Nazareno: non è difficile ipotizzare che, se per assurdo il testo fosse diventato legge e Berlusconi avesse avuto la possibilità di recuperare l’agibilità politica, l’elezione del successore di Giorgio Napolitano avrebbe avuto un percorso molto meno irto di ostacoli. A pensar male  si fa peccato, ma spesso si indovina diceva qualcuno: il Cdm vara la norma il 24 dicembre, nei giorni successivi Berlusconi apre alla candidatura di Romano Prodi al Quirinale.

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