Società

Mafia Capitale: storie di ordinario sfruttamento

Conosco un ragazzone di colore: solare, simpatico, un sorriso radioso, con quei denti che sembrano ancora più bianchi in quella faccia tonda nerissima. Un vocione blues, con cui irrompeva sul palco dei pomeriggi musicali organizzati nel grande corridoio delle scuole del carcere, trascinando i suoi compagni di detenzione con i suoi ritmi travolgenti, naturalmente africani. Ovviamente il laboratorio teatrale che opera nel carcere lo prese nel suo gruppo e lo portò in vari spettacoli, anche fuori. Una volta lo incontrai davanti a un teatro subito dopo una rappresentazione, sempre gentilissimo e sorridente; volli presentarlo anche ai miei ospiti esterni che avevo portato a vedere l’esibizione dei miei studenti detenuti. Era evidentemente entusiasta di quegli scampoli di libertà che poteva godere per una serata.

L’ho rivisto qualche mese fa, dalle parti della casa-famiglia in cui sono ospitati coloro che sono sottoposti a misure alternative alla detenzione e non hanno un recapito in cui rincasare. Vado per salutarlo, lui mi viene incontro e mi abbraccia: “Ehi, come ti va?”. Non risponde, stringe la presa delle sue braccia, mi scosto e vedo con sorpresa che sta piangendo: “Coma va prof…non ce la faccio più, non so come fare, io non voglio più fare reati ma come faccio, non ho soldi neanche per mangiare”.

In breve mi racconta che la cooperativa per cui lavora non lo paga da mesi. Lui non ce l’ha con loro, sa che è il Comune che non dà soldi alla cooperativa che quindi non può pagare i lavoranti. Ogni tanto gli allungano poche decine di euro, con cui tira avanti per qualche giorno ma non ce la fa più. Non vuole rubare, non vuole tornare in carcere, dove lo portarono appena messo piede in Italia: dei trafficanti di stupefacenti l’avevano usato come esca per le forze dell’ordine, mandandolo avanti dopo la soffiata e facendolo arrestare per far passare contemporaneamente una partita di droga più grossa.

Ora vorrebbe solo reinserirsi, vivere onestamente ma non c’è lavoro, né tantomeno soldi. Aveva convinto anche me: credevo in una riconferma del fatto che, private di finanziamenti, le nostre istituzioni sono in dismissione, con tutti gli annessi e connessi.

Invece, oggi leggiamo dei fiumi di denaro che quelle cooperative hanno ricevuto, dirottandoli altrove. Si parla di viaggi in Argentina, di acquisti di immobili, impressionanti arricchimenti personali. A questo, che sarebbe già di per sé terribilmente ingiusto, si deve aggiungere l’aggravante che è stato perpetrato un ignobile sciacallaggio, lucrando sui soggetti più deboli e indifesi della nostra società. E che invece di finanziare il già arduo compito del reinserimento, non si lasciava a quei poveracci alcuna alternativa se non quella di tornare a commettere reati. Operazione orchestrata dagli stessi che poi soffiano sul fuoco dell’intolleranza, del disagio delle periferie e della xenofobia.