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“Il celibato può causare atti di pedofilia”, dossier della Chiesa cattolica australiana

Il report è il contributo delle 5 principali diocesi alla Commissione nazionale d’inchiesta che sta indagando sulle criticità delle istituzioni nella lotta contro gli abusi sui minori. Delle oltre 1.600 vittime ascoltate il 60% ha dichiarato di aver subito molestie in ambienti religiosi

“Il celibato può causare atti di pedofilia”. La Chiesa cattolica australiana sostiene l’esistenza di un rapporto diretto tra le molestie sessuali fatte da rappresentanti del clero sui minori e il voto di celibato obbligatorio. Lo si legge in un report sottoscritto dal Consiglio per la verità, la giustizia e la guarigione (qui il Pdf) composto dagli arcivescovi delle cinque più importanti diocesi australiane (Melbourne, Brisbane, Perth, Canberra e Adelaide). Un report che è il contributo della Chiesa australiana alla Commissione nazionale d’inchiesta che sta indagando sulle criticità delle istituzioni nella lotta contro la pedofilia.

Il rapporto degli arcivescovi cattolici è particolarmente importate per la Commissione nazionale, visto che delle oltre 1.600 vittime ascoltate il 60% ha dichiarato di aver subito molestie in ambienti religiosi (nel 68% dei casi erano “luoghi” cattolici) quando aveva tra i 9 e i 10 anni.

“È la prima volta nel mondo che le guide della Chiesa cattolica di uno Stato si sono riuniti per riconoscere pubblicamente la tragedia degli abusi sessuali da parte del clero sui minori – si legge in apertura delle 40 pagine del report –. I vertici religiosi hanno chiuso un occhio troppe volte, fingendo che nulla stesse accadendo. Ma ora la Chiesa deve assumersi le sue responsabilità per gli abusi avvenuti in passato, riconoscendo come la cultura clericale non abbia risposto adeguatamente nella lotta contro la pedofilia”. Di fronte al possibile legame tra celibato e molesti sessuali, tra le risposte date dalle cinque diocesi australiane in cima alla lista si trova “la necessità di fare un’adeguata e continua formazione psico-sessuale ai preti e ai religiosi in genere” proprio per evitare il ripetersi di molestie sessuali. Alla base del rapporto, due anni di documentazione che ha portato le alte gerarchie ecclesiastiche ad ascoltare oltre 50 testimonianze e analizzare 160mila documenti di organizzazioni clericali “per guidare l’agenda che porterà a rivedere il modo in cui la Chiesa deve rispondere e trattare la pedofilia”.

Un dossier che non risparmia neppure il Vaticano, inserito nel paragrafo dedicato al “bisogno di trasparenza” nell’ottica di individuare e perseguire gli abusi. “È necessaria maggiore chiarezza attorno al ruolo della Santa Sede e al suo coinvolgimento rispetto al modo in cui le autorità della Chiesa in Australia hanno risposto e perseguito le denunce di abusi sessuali”, si legge nel rapporto. Un problema di trasparenza che le diocesi imputano non soltanto al Vaticano, ma a tutte le organizzazioni connesse con la Chiesa – dalle parrocchie alle istituzioni scolastiche – dove “si deve fare uno sforzo maggiore, magari facendo rapporti pubblici sulle scelte che le istituzioni cattoliche stanno compiendo per rendere sicuri questi luoghi da episodi di pedofilia”. Ripetuta più volte la parola vergogna, “per tutte le vittime che non sono state credute, come invece doveva essere”, ma soprattutto per la scelta dei vertici cattolici di “trasferire i responsabili di abusi sessuali invece di denunciarli alla polizia solo per difendere la reputazione della Chiesa”. Una decisione che in passato “è stata presa troppo spesso, ed è per questo che tutto il clero dovrebbe chiedere perdono”.

Un appello che è stato ripreso anche da Neville John Owen, ex giudice della Corte suprema in Australiana occidentale ora membro della Commissione nazionale d’inchiesta: “La Chiesa deve accettare apertamente i fallimenti del passato e tracciare una nuova rotta per il futuro. La società ha bisogno di essere convinta che si arriverà ad una soluzione del problema”.