Mafie

Donne e ‘ndrangheta, una vita in fuga nel libro della testimone Maria Stefanelli

In "Loro mi cercano ancora" gli abusi e le minacce della vedova del boss Marando che ha rinnegato il giogo mafioso. Un'autobiografia a tinte forti tra Calabria, Liguria e Piemonte. Il testo raccolto da Manuela Mareso di Narcomafie

Una lunga confessione, ma non si rivolge ai magistrati. Adesso Maria Stefanelli, vedova di un boss della ‘ndrangheta e testimone di giustizia, scrive alla figlia per toglierla “da quel mondo” e le svela le ragioni di una vita in fuga, coi retroscena sull’organizzazione criminale calabrese, sul suo radicamento a Nord e sui suoi uomini. Lo fa attraverso un libro, “Loro mi cercano ancora”, scritto insieme a Manuela Mareso, direttrice di Narcomafie, e pubblicato da Mondadori. Un libro molto forte, come i soprusi che la protagonista ha subito sin dall’infanzia. “La famiglia di tuo padre mi ha condannato a morte, per la mia non esisto più, mi hanno rinnegata, chiamata infame, dato della pazza”, scrive rivolgendosi alla figlia.

Maria Stefanelli arriva da Oppido Mamertina e la sua fuga comincia da lì. Il primo viaggio quello verso la Liguria lo fa per scappare dalla miseria. Qui, una volta rimasta orfana, diventa l’oggetto delle attenzioni morbose di suo zio Antonino, capo della locale di Varazze, nuovo compagno della madre, mentre i fratelli si arricchiscono con lo spaccio. Da quegli abusi, indisturbati per la paura e per l’omertà della madre e delle sorelle, la ragazza scappa solo sposando Francesco “Ciccio” Marando, boss e narcotrafficante che domina l’area di Torino. La loro unione è pure un’alleanza tra due famiglie che possono fare affari insieme tra la Liguria e il Piemonte. Che il matrimonio possa dare libertà alla donna è solo un miraggio: quando il marito finisce in carcere lei resta sotto il controllo della suocera e dei cognati, diventando un ingranaggio di quel sistema. I pochi momenti di libertà per Maria sono i viaggi verso il penitenziario, dove Ciccio Marando è detenuto e dove lui continua a comunicare all’esterno le direttive per proseguire il narcotraffico. Ma la vera libertà Maria la trova solo nel suo amore clandestino per Floriana, moglie di un altro carcerato conosciuta durante i colloqui in prigione.

La latitanza di “Ciccio”, a metà degli anni Novanta, complica tutto. Tornata in Calabria, dove lui si nasconde, subisce le sue violenze nonostante nel frattempo sia nata la loro figlia. I Marando e gli Stefanelli si stanno facendo la guerra per il controllo degli affari. Lo si capisce bene il 3 giugno 1996 a Chianocco, in provincia di Torino, dove viene trovato un cadavere carbonizzato. Sulla fede è inciso “Maria 09-06-1990”: quell’uomo era Ciccio Marando. I sospettati sono lo zio e il fratello di Maria, Antonino e Antonio Stefanelli. Il motivo sembra essere legato alla droga. È solo il primo episodio della faida che porterà alla morte dei due uomini, di Francesco Mancuso e di Roberto Romeo. La protagonista teme di essere la prossima vittima e si accorge del rischio quando i cognati la incontrano: “Quasi svenni quando, molti anni dopo, lessi la storia di Lea Garofalo (nella foto, una manifestazione di Libera in suo ricordo), una testimone di giustizia come me, originaria di Petilia Policastro, assassinata nel 2009 a Milano. Aveva commesso il mio stesso errore”. La sua fuga riprende. Decide di collaborare con la magistratura in cambio di protezione, ma i problemi continuano.

Nel libro Maria Stefanelli racconta tutto in maniera tanto “potente” quanto la sua forza di andare contro la ‘ndrangheta, i suoi uomini, le sue convenzioni sociali e la malattia. Non si censura, entra nei dettagli, anche quelli più vividi o macabri: “Raccontare è necessario. Spiegare dall’interno che cos’è quel mondo. Le menti malate che lo abitano, i meccanismi che lo governano. Per imparare”, scrive, “a comprenderlo. Perché non si possa far finta di non riconoscerlo”.

Twitter @AGiambartolomei