Scienza

Ricerca fondamentale o ‘applicata’? Sulla probabilità nelle scienze naturali (e su Google)

Non c’è ricerca applicata, ci sono solo applicazioni della ricerca fondamentale”: questa famosa massima di Louis Pasteur, fondatore della moderna microbiologia, andrebbe scolpita non solo all’ingresso del ministero dell’Istruzione e della ricerca ma anche nella sede di Confindustria, la cui ingerenza nella politica della ricerca è tanto ingombrante, quanto è inconsistente la considerazione che mostra avere per il lavoro degli scienziati. Per capire come le scoperte della ricerca fondamentale si trasformano in applicazioni di utilità per la collettività, bisogna studiare la storia della scienza; per capire come si formano le idee nuove bisogna comprendere che il motore della ricerca sono le motivazioni dei ricercatori, le loro passioni e le loro curiosità.

Lo spiega brillantemente, e in maniera accessibile a tutti, il fisico Angelo Vulpiani nel suo Caso, probabilità e complessità (Edizioni Ediesse, 2014), un libro dedicato alla nascita della moderna scienza della complessità, che si occupa di descrivere l’emergenza di comportamenti collettivi in sistemi composti di un gran numero di elementi. Tutto il racconto del libro ruota intorno all’introduzione del concetto di probabilità nelle scienze naturali e sociali: la storia di queste idee prende le mosse dalla metà del XIX secolo e, arrivando ai giorni nostri, aiuta a comprendere, tra le altre cose, in maniera chiara ed efficace il nesso tra ricerca fondamentale e le sue applicazioni. A questo riguardo, un esempio molto istruttivo è fornito dall’introduzione delle catene di Markov nel calcolo della probabilità.

Andrei Markov è stato un matematico e probabilista russo, vissuto a cavallo tra l’800 e il 900, che fu coinvolto in un animato dibattito con il matematico moscovita Nekrasov, le cui opinioni politiche e religiose erano opposte alle sue: il controverso problema verteva sulla regolarità statistica dei comportamenti sociali come ad esempio il numero di suicidi, nascite, ecc. per 1000 abitanti o altre statistiche riguardanti la popolazione. Markov sosteneva che tale regolarità fosse una mera conseguenza della legge dei grandi numeri, e che non aveva niente a che fare con il libero arbitrio o con le convinzioni politiche e religiose. D’altra parte, Nekrasov non riconosceva alle regolarità statistiche dei fenomeni sociali lo status di vere leggi, in quanto, in accordo con la tradizione della religione ortodossa, i comportamenti umani sarebbero conseguenza del libero arbitrio. Più tecnicamente Nekrasov faceva notare che la legge dei grandi numeri non poteva essere sufficiente a spiegare le regolarità statistiche, poiché tale legge varrebbe solo sotto l’ipotesi di eventi indipendenti cosa che non era possibile supporre per il caso delle dinamiche sociali. Markov al contrario sosteneva che tali regolarità erano sostanzialmente dovute alla legge dei grandi numeri.

Markov per controbattere l’obiezione tecnica di Nekrasov dovette costruire una teoria di processi non indipendenti, chiamate catene di Markov, che invece soddisfano la legge dei grandi numeri. Questi processi probabilistici oggi hanno un ruolo fondamentale in molte applicazioni in fisica, astrofisica, chimica, biomatematica, genetica, geofisica, ingegneria, comunicazioni e addirittura nel motore di ricerca di Google. Infatti, quando s’inseriscono delle parole su Google, il motore di ricerca, utilizzando un algoritmo basato sulle catene di Markov (il famoso PageRank), fornisce un elenco, in ordine d’importanza, delle pagine che contengono le parole desiderate. Le catene di Markov, introdotte dunque un secolo fa per risolvere una diatriba su un argomento di natura filosofica sul libero arbitrio sono così diventate uno strumento di uso quotidiano per centinaia di milioni di persone: in un periodo di oscurantismo scientifico e culturale come quello che viviamo, la storia di Markov rimane un fulgido esempio che ci ricorda perfettamente cosa sia la ricerca scientifica, come funzioni e a cosa serva.