Politica

Leopolda 2014: Davide Serra è il nostro termometro

Serra Davide, finanziere, è il nostro termometro. Se ci dice che la Leopolda non gli appare né di sinistra né di destra e per questo gli piace un sacco, abbiamo il dovere di credergli. Serra è il nostro sguardo preferito sul renzismo. Avemmo già a che fare con lui ai tempi de Linkiesta, quando ci sembrò persino troppo stravagante presentarlo ai lettori come un campione delle pari opportunità avendo a cuore, lui, una certa fiscalità di vantaggio (per carità, sempre nell’ambito della legge). All’epoca i nostri soci-editori non gradirono le nostre incertezze, che peraltro erano ben distanti dal populismo finanziario di Bersani che a Serra diede sostanzialmente del delinquente, ma insomma era impresa quasi impossibile spiegare a colleghi o affini di Serra che a una sinistra moderna non conveniva ripartire da quel mondo discretamente privilegiato.

La storia ci dice che fino a questo momento abbiamo avuto torto noi. E ragione Serra. Perché lui continua a essere la star incontrastata di tutte le Leopolde e gli basta una mezza puttanata per catturare l’attenzione dei giornali, delle televisioni e di tutte le Camusso del firmamento. Tra quelle che ha detto in “stazione”, non ci scuotono troppo le punture sugli “scioperati” che invece hanno indignato il sindacato e una certa sinistra. Sono robe da Serra. Piuttosto, è monumentale la proposta del giorno unico per le agitazioni sindacali di ogni dove: si stabilisca una data e si scioperi tutti indistintamente in quella occasione e poi non si rompa più i coglioni per il resto dell’anno. Ammettiamo che qui Serra ci ha affascinato, superando se stesso. Sarà un giorno bellissimo in cui nessuno farà nulla, niente si muoverà sulle strade, la gente si saluterà ai bar sorridendosi e naturalmente, per rispetto, anche il crimine osserverà un giorno di riposo.

Serra è per Renzi un modo per sentirsi meno provinciale, per questo il presidente del Consiglio gli è molto legato. In questo senso, c’è un’affinità molto stretta con Massimo D’Alema, al quale – al tempo della “presa” di Palazzo Chigi – ben noti consiglieri spiegarono l’arte del buon vivere per un post-comunista come lui. E così arrivarono gli abiti di sartoria, le famose scarpe fatte su misura, i ristoranti stellati, da cui risotti preparati con la palandrana al cospetto di Vespa. Furono i capitoli (comico-patetici) di una sprovincializzione finita malissimo e continuata peggio, adesso, col vino di famiglia.

Serra conduce Renzi sugli stessi sentieri con meccanismi ovviamente diversi. Lo illumina sulla grande finanza, lo introduce in certi ambienti, garantisce addirittura per lui. In uno dei passaggi dell’intervista di oggi a Repubblica sulla Leopolda, Serra ha rivelato d’aver parlato con il gran capo del fondo Blackstone, autentica potenza mondiale, il quale lo avrebbe tranquillizzato sulle buone intenzioni di tornare a investire in Italia. E tutto questo dopo il “passaggio” americano del presidente del Consiglio, passaggio evidentemente caldeggiato da Serra. Renzi sa che questa sprovincializzazione ha anche un costo sociale ma lo mette tranquillamente nel conto, sa che Serra quando viene in Italia sparerà le sue quattro cazzate su scioperi, Costituzione, diritti e quant’altro, che al massimo produrranno la fibrillazione di un pomeriggio e poi più nulla. Lui si riprenderà il suo aereo personale e arrivederci alla prossima Leopolda.

Tornando gaberianamente a cos’è di destra e cos’è di sinistra. Un finanziere come Serra, che come tutti i finanzieri è per definizione a-sentimentale, nella Leopolda non ci vede assolutamente nulla. Perfetto. Non ci vede una “bella sinistra”, né si sente di dire che avverte un buonissimo profumo di destra. No. Sicuramente la sinistra di prima gli faceva schifo, e non era mica il solo, ma proprio non ce la fa a dire che questa di Renzi è fichissima. Non se la sente perché è un po’ vero che quella di Renzi non è una sinistra fichissima.

Serra è il nostro termomento. Che la finanza ce lo conservi.