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Cina e intellettuali: l’arte di servire il popolo

“Servire il popolo e la causa socialista è un requisito del Partito comunista cinese ed è essenziale per lo sviluppo futuro dei settori culturali e artistici della nazione”. Sembrano parole di Mao Tsé-Tung il “Grande timoniere”. Ma si tratta di una frase estrapolata da uno dei più recenti discorsi del presidente Xi Jinping. Anzi, dello “zio Xi” come si è fatto chiamare dagli studenti. Alla vigilia del 4 ° plenum del Pcc, tutti hanno ripensato ai famosi Discorsi sulle arti e la letteratura di Mao a Yan’an. Era il 1942 e il padre-padrone della Repubblica popolare scaldava gli animi affermando che “la nostra arte e la nostra letteratura sono per le masse”. Un discorso che si è impresso nella memoria collettiva tanto che un paio d’anni fa, in occasione del 70esimo anniversario, cento artisti e letterati ne hanno ricopiato a mano i testi. Un lavoro da fini calligrafi che ha dato vita a un’edizione speciale di quelli che sono passati alla storia come i Discorsi di Yan’an.

Il messaggio, allora come oggi, è chiaro: lo scopo primario dell’arte è quello di servire il partito e le sue priorità politiche. Ma 70 anni fa la Cina era un paese povero e ancora feudale. La Repubblica popolare di oggi, invece, è quella che ha inventato il socialismo alla cinese e che, attraverso un’apertura al mercato guidata dalle aziende di Stato, gareggia con gli Usa per la supremazia economica. Le “masse” a cui si rivolge oggi Xi Jinping sono cittadini istruiti che si informano, consumano e viaggiano per il mondo. Gli artisti che il presidente chiama a farsi carico della rappresentazione dei valori socialisti e a non essere schiavi del mercato son cresciuti nell’ambiente meno ideologizzato che ha caratterizzato il ventennio guidato prima da Jiang Zemin e poi da Hu Jintao.

Un ventennio cominciato con l’ingresso della Cina nel Wto e si è concluso con lo storico sorpasso degli abitanti delle città su quelli delle campagne. Anche il mercato dell’arte cinese è esploso. Oggi rappresenta un quarto di quello mondiale, valutato quasi 49 miliardi di euro. E i suoi esponenti esprimono insoddisfazione per la crescente forbice tra ricchi e poveri, la speculazione immobiliare, i disastri ambientali di trent’anni di crescita vertiginosa. Una presa di coscienza collettiva che il presidente Xi Jinping prova a cancellare portando avanti la visone del “rinascimento” cinese. Superando il concetto di leadership collettiva con quello dell’uomo forte, se stesso, Xi chiede alle masse di rispolverare i valori patriottici e la fierezza di uno Stato forte con una tradizione millenaria. Vuole promuovere l’unità nazionale e una sempre maggiore influenza cinese sul resto del mondo. Perciò non tollera il dissenso.

Il Partito sotto Xi Jinping ha già rispolverato termini marxisti come dittatura democratica del proletariato, lotta di classe e linea di massa. Si serve del confucianesimo per legittimare il rispetto dell’autorità e, attraverso una lotta alla corruzione senza precedenti, si è liberato dei nemici politici contrari a un’ulteriore liberalizzazione del mercato.

Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2014