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Hong Kong, i bambini che muoiono ‘di scuola’

Quando Sally ha scavalcato il davanzale della finestra nella sua cameretta, al 28esimo piano di un grattacielo di Midlevel, non aveva in mente un motivo preciso. Non sapeva perchè, a dodici anni, avrebbe saltato. Voleva solo sentirsi leggera, libera. Libera dai compiti. Quando Steven ha accoltellato la sua compagna di studi presso la libreria scolastica con un coltello rubato in mensa e poi si è lanciato dal terrazzo, aveva solo una grande rabbia dentro e la paura di non riuscire a farcela.

Quando guardiamo all’efficiente sistema scolastico di Hong Kong, un sistema pubblico che assicura l’istruzione a tutti gli abitanti della ex colonia britannica, che si occupa dell’educazione di intere generazioni senza lasciare indietro nessuno (la corsa alle scuole internazionali è prerogativa degli expat o una scelta di chi vuole indirizzare il proprio figlio in un contesto non locale) è difficile resistere alla tentazione di augurarsi che sia così anche dalle proprie parti.

L’ho pensato anche io, lo confesso. Io che sono e sono sempre stata una grande fan della scuola italiana e che ho sempre pensato che persino i pomeriggi del doposcuola a giocare in cortile sbucciandosi le ginocchia sul cemento sbeccato fossero in qualche modo utili, propedeutici, forse più di qualsiasi corso intensivo di “social studies“. Quando sono atterrata a Hong Kong, ho avuto l’impressione che questi bambini in uniforme bianca e abbonamento della metropolitana al collo, in giro dalla mattina alla sera tra lezioni normali e lezioni private pomeridiane, fossero solo il simbolo positivo della voglia di riscatto, di rinascita, che da sessant’anni contraddistingue questa città competitiva a cavallo tra due mondi, l’Oriente e l’Occidente. Mi sono lasciata sedurre dai test mirabolanti che i diciottenni portano a casa entrando di diritto nelle più prestigiose università del mondo. Ho persino sperato che il futuro dei miei figli potesse beneficiare di questo sistema.

E invece.

Invece ho conosciuto questi bambini, questi ragazzi. Ho visto l’immobilità nel loro sguardo. Ho visto la triste fatica, non la fatica che ti riempie gli occhi di orgoglio. Li ho sentiti parlare poco, molto poco, mentre tenevano la testa bassa sul proprio smartphone senza mai guardarti davvero in faccia.

Ma, soprattutto, ho letto l’ultima indagine dell’Hong Kong Institute of Family and Education: solo lo scorso anno, in questa città di 7 milioni di abitanti, oltre 50 ragazzi, minorenni, hanno tentato il suicidio. Molti, purtroppo, con successo. Un ragazzo su quattro (il 25%) tra i 10 e i 16 anni ha pensato almeno una volta di farlo. E il 60% delle motivazioni si riferisce alla eccessiva pressione scolastica. Il problema sta diventando talmente evidente che lo stesso dipartimento dell’educazione ha invitato i presidi a moderare i compiti, i test, ad alleggerire le aspettative nei confronti di questa generazione stremata.

Per avere un’idea di quanto i giovani di Hong Kong siano stressati dal sistema scolastico, basti pensare che sono sottoposti a test d’ingresso a partire dai due anni e che la loro giornata media si divide tra scuola dalle 8 alle 15 e doposcuola per recupero materie fino alle 17. Poi comincia la gara alle ripetizioni. E’ come un circolo vizioso: se non vuoi rimanere indietro, devi affidarti a uno o più tutor come il resto dei tuoi compagni di classe. Mandarino, matematica, inglese e poi violino, pianoforte, vogliamo metterci pure uno sport? Mettiamocelo. A lezione dall’ex campione del mondo, però. Dopo cena, ci sono ancora i compiti per il giorno dopo. I tutor sono la cartina al tornasole di questo sistema: talmente ricercati da diventare delle vere e proprie celebrità, possono fatturare fino a 250 euro all’ora. Si fanno pubblicità attraverso gigantografie in stile hollywoodiano sulla metropolitana e, questa almeno è una buona notizia per la nostra economia, viaggiano in Ferrari.

Il risultato? Se i ragazzi riescono a superare lo shock psicologico e sociale che questo tipo di routine comporta porteranno a casa grandi risultati scolastici, l’ingresso in università prestigiose, un futuro professionale preciso e specializzato. Non c’è che dire.

Ma guai a chiedere loro una soluzione creativa. Una risposta non prevista da qualche schema prestabilito. Una botta di genio. Come i ragazzini a cui chiedi come stai e non lo sanno, molti giovani adulti iperpreparati abbassano gli occhi. Perché, come diceva Albert Einstein: “Se volete crescere bambini intelligenti leggete loro delle fiabe. Se volete crescere bambini ancora più intelligenti leggetegli altre fiabe”. E lasciate che di pomeriggio si sbuccino le ginocchia, mi verrebbe da aggiungere.