Scienza

Sperimentazione animale, corso su metodi alternativi all’Università di Genova

Sono sempre invocati in ogni petizione contro i test sugli animali, al centro del dibattito non solo sul web e nelle piazze, ma anche in convegni internazionali - l’ultimo si è svolto a fine agosto a Praga -, o nelle aule universitarie. Come quelle del Dipartimento di medicina sperimentale dell’ateneo ligure, che ospita per due giorni, il 24 e 25 settembre, il primo corso di aggiornamento dal titolo “Dare un senso ai metodi alternativi alla sperimentazione animale”

Sono sempre invocati in ogni petizione contro la sperimentazione animale nella ricerca scientifica. Al centro del dibattito non solo sul web e nelle piazze, ma anche in convegni internazionali – l’ultimo si è svolto a fine agosto a Praga -, o nelle aule universitarie. Come quelle del Dipartimento di medicina sperimentale dell’Università di Genova, che ospita per due giorni, il 24 e 25 settembre, il primo corso di aggiornamento dal titolo “Dare un senso ai metodi alternativi alla sperimentazione animale”. Rivolto a medici, biologi, veterinari, chimici, farmacisti e biotecnologi, ai quali assegna crediti formativi Ecm (Educazione continua in medicina) è un corso teorico-pratico nato, come si legge nel manifesto di presentazione, “per incrementare l’utilizzo dei metodi alternativi e la possibilità di allestire nuovi modelli scientificamente validi, per sostituire quelli sugli animali”.

“Si tratta di un corso avanzato, diverso da quelli base solo teorici che anche noi abbiamo svolto in passato – spiega Anna Maria Bassi, docente di patologia generale e organizzatrice del corso -. I partecipanti, non più di una ventina, sperimenteranno in prima persona in laboratorio alcune tecniche alternative all’uso di animali”. Ma in cosa consistono questi metodi alternativi e in quali casi sono adoperati? “Si tratta di modelli in 3D di cellule umane fatte crescere in laboratorio – spiega Bassi -, attraverso gel che permettono di collegare diverse tipologie cellulari, per esempio di fegato, intestino, polmone. Una tecnologia bioingegneristica che negli ultimi due/tre anni ha fatto molti passi avanti, consentendo di realizzare kit di laboratorio in grado di mimare tessuti e organi e, di conseguenza, ridurre l’impiego di animali”.

“Il primo ad essere preoccupato della salute degli animali è proprio il ricercatore”. “Il primo ad essere preoccupato della salute degli animali – sottolinea Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e professore di Zoologia e Biologia dello sviluppo presso l’Università di Pavia – è proprio il ricercatore, che vede nel rispetto dei protocolli di utilizzo degli animali approvati a livello ministeriale la vera garanzia della bontà dei dati ottenuti. L’impresa scientifica si sta facendo carico del problema della sperimentazione animale, basti pensare che negli ultimi 50 anni l’impiego degli animali si è più che dimezzato”. Le tecniche considerate alternative alla sperimentazione animale sono in genere classificate in due grandi categorie: quelle che adoperano cellule e tessuti umani, le cosiddette “colture in vitro”, e i modelli basati sulla bioinformatica, o “in silico”, che sfruttano software in grado di predire gli effetti di una molecola d’interesse farmacologico dalla sua struttura chimica, confrontandola con sostanze analoghe di cui sono già noti gli effetti. A differenza delle simulazioni al computer, per l’utilizzo di cellule e tessuti esiste un apposito organo di regolamentazione a livello continentale, il Centro europeo per la validazione dei metodi alternativi (Ecvam), che ha sede proprio in Italia, a Ispra, vicino Varese. Questo organismo stabilisce che “una tecnica per essere approvata dev’essere riproducibile, cioè dare gli stessi risultati in laboratori differenti, e predittiva, ovvero capace di prevedere l’effetto su uomo, animale e ambiente”. L’iter completo di validazione, dallo sviluppo all’approvazione è, però, piuttosto lungo e richiede circa dieci anni. Tra i metodi che hanno già ricevuto il via libera dall’Europa ci sono soprattutto quelli usati per i test di tossicità, come i modelli in 3D della pelle, o il saggio immunologico “Elisa”, basato su anticorpi e utilizzato per testare i vaccini.

Ma queste metodiche sono già in grado di soppiantare il modello animale nella ricerca scientifica? “In alcuni settori, come la cosmesi, i test sulla corrosione cutanea o l’irritazione oculare, alcuni studi sul metabolismo umano – sottolinea Bassi -, i modelli cellulari tridimensionali si sono dimostrati efficaci nel sostituire gli animali. In altri, ad esempio le ricerche sulle protesi, sono ancora complementari. Ma la direzione è ormai tracciata. Personalmente, penso che agli studenti universitari dovrebbe essere data la possibilità di esprimere la loro obiezione di coscienza sull’eventualità di lavorare su modelli animali, ma non sempre questo è possibile”. “La notevole espansione delle ricerche biomediche a livello cellulare e molecolare cui stiamo assistendo da alcuni anni – afferma Redi – ha diminuito il ricorso agli animali. Ma non ha, purtroppo, eliminato la necessità della sperimentazione animale. I ricercatori impiegano già tutti i metodi finora disponibili, come i modelli matematici o cellulari. Ma – sottolinea lo studioso – c’è un momento dello sviluppo delle conoscenze in cui non si va avanti senza sperimentazione animale, di cui i ricercatori farebbero volentieri a meno, se non fosse ancora indispensabile. Se oggi, infatti – continua il biologo pavese – è possibile affrontare con terapie efficaci tante malattie è proprio grazie alla sperimentazione animale”.

La legislazione europea per la valutazione della tossicità. Una grande spinta alla creazione di metodi alternativi al modello animale, soprattutto nel campo della bioinformatica, è arrivata negli ultimi anni dalla legislazione europea Reach. Entrata in vigore nel giugno del 2007, è un ambizioso progetto di valutazione della tossicità di decine di migliaia di sostanze chimiche, a partire dalle più comuni come il sale da cucina. Impone, infatti, che ogni composto prodotto o importato in Europa sia registrato in un database. Le aziende, inoltre, sono tenute a documentarne caratteristiche, impiego e, in particolar modo, possibili rischi.Un lavoro enorme, che terminerà nel 2018 e che richiede nuovi strumenti sperimentali. Come, ad esempio, i chip di Dna, una tecnologia di frontiera che permette di effettuare più analisi genetiche simultaneamente, velocizzando le procedure. “Si va sempre più verso una medicina personalizzata – spiega Bassi -, in cui sarà possibile mimare in laboratorio il comportamento di cellule, tessuti e organi collegati tra loro, anche i più complessi come il sistema nervoso. Esistono già alcune linee di ricerca in proposito – aggiunge la biologa -, come studi con modelli di neuroni fatti crescere su gel in 3D, o ricerche per riprodurre in laboratorio la barriera ematoencefalica. Sarà lo stesso progresso della ricerca, l’avanzamento delle conoscenze, a rendere sempre meno indispensabile la sperimentazione animale. Si va verso un futuro – conclude la studiosa – in cui il modello sperimentale sarà l’uomo stesso”.