Politica

Consulta, bruciate 61 ore di lavori d’Aula. Ma Pd e Fi ripartono da Violante e Bruno

Tredici votazioni non sono state sufficienti al Parlamento per scegliere i due membri della Corte Costituzionale. Nel frattempo, una dopo l'altra le sedute ordinarie sono saltate o "aggiornate" a nuova data. E ora rischiano di rimanere bloccati anche provvedimenti cari al governo come il Jobs act

Fermi tutti, c’è il “conclave dei giudici”. E la democrazia parlamentare, fatalmente, resta sospesa. Papa Francesco è stato eletto al quinto scrutinio, per due membri laici della Corte Costituzionale nominati dai partiti neppure 13 sono stati sufficienti. Alla beffa di tenere in stallo per questioni di bandiera due organi costituzionali si aggiunge anche il danno dell’inerzia in Parlamento, dove l’attività ordinaria è stata presa e messa da parte per far posto alle sedute comuni di Camera e Senato. In tutto, convocazioni e conti alla mano, il balletto delle nomine iniziato il 26 giugno e ancora in corso ha “impegnato” 61 ore. Un tempo lunghissimo e inutile finora che ha preso ad occupare anche quello dei lavori dell’aula e delle commissioni, costringendo gli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama a modificare ogni due o tre giorni il ruolino di marcia delle convocazioni. Più che “un’offesa alle istituzioni” che restano bloccate in attesa del plenum, come l’ha definita Napolitano, la palude in cui si sono ficcati i partiti è l’ennesima sfida alla capacità di sopportazione. Un giorno sì e l’altro pure si sente ripetere il mantra dell’ultima chiamata e dell’emergenza per cui tocca cambiare passo, anzi correre. E poi si assiste allo spettacolo di 945 parlamentari che al gioco segreto dell’urna spendono intere giornate, settimane, a cercare un’incastro di casta, di quelli che non portano un solo posto di lavoro in più e non aiutano a risollevare le sorti del Paese.

Alcune sedute sono saltate, altre sono state rinviate a data da destinarsi. Una ricognizione sull’effetto di questi rinvii risulta impossibile perfino agli uffici di Montecitorio che, sentiti sul punto, indicano già come un notevole sforzo esser riusciti a far passare di straforo, tra una seduta comune e l’altra, il decreto missioni. Spulciando le convocazioni modificate all’ultimo in vista della plenaria per il Csm e la Corte è tutto un fiorire di asterischi, la dicitura è la stessa: “La convocazione è stata aggiornata”. Poche voci si alzano per gridare allo scandalo di un parlamento imballato dai partiti. Un caso minimo diventa la sconvocazione della Commissione di Vigilanza Rai che all’ordine del giorno aveva la presentazione del dg Gubitosi del piano di riorganizzazione delle testate giornalistiche. Per il resto, tutti si accomodano intorno all’incastro che dentro e fra i partiti fa misurare le forze, soppesare il potere, pretendere contropartite tirando di lungo.

E sui tempi qualcuno potrebbe anche obiettare: ma come, da settimane si rimpallano queste nomine, giovedì va buca ancora e la prossima convocazione sarà solo martedì, cioè cinque giorni dopo? Ebbene sì, pur non avendo concluso un bel nulla neppure questa settimana, con quattro votazioni andate a vuoto, deputati e senatori si sono presi il weekend lungo per la cura della mente: meditare e mediare. E’ caduto nel vuoto l’ultimatum (a salve) del presidente Boldrini: “Senza un accordo si vota a oltranza nelle sedute di venerdì e di lunedì”, aveva minacciato alla conferenza dei capigruppo di Montecitorio dicendosi però fiduciosa che l’accordo tra i partiti si sarebbe trovato l’indomani. E invece nisba, altra fumata nera. Ma la seduta non viene convocata né venerdì né lunedì. Il weekend, si sa, per l’onorevole è sacro e non si tocca. 

Anche il governo però sta alla finestra. Il premier Renzi ha più volte mostrato di non appassionarsi più di tanto alla vicenda e resta fermo sull’orizzonte programmatico esposto il 16 settembre scorso: “Mille giorni per rimettere in pista l’Italia, non per dilatare i tempi”. Ma era mattina. Il pomeriggio ci penserà il Pd (di cui Renzi è segretario) a dilatarli ostinandosi per la sesta volta sul nome di Luciano Violante alla Corte Costituzionale. Quel pomeriggio, dalle 18:20 alle 23:13, il Parlamento italiano – complice il voto segreto – ha discettato inutilmente per la decima volta su chi mandarci. Violante incassava 526 voti, quattro in più del giorno prima ma ancora pochi rispetto alla soglia dei 570 necessari. Il centrodestra non è da meno, converge su Bruno ma i 554 voti raccolti non bastano. Fumata nera e tenzone rimandata di votazione in votazione, fino a giovedì scorso. Fallisce, in ultimo, anche il tentativo di barattare con Sel e Lega voti buoni per il ticket Violante-Bruno in cambio di voti possibili per un posto al Csm (due membri sono ancora da eleggere). Insomma, anche arrivati al commercio smaccato delle cariche, il tentativo di far digerire l’indigeribile non riesce. E la polemica su franchi tiratori e assenteisti monta. Nulla di fatto, si riparte. E se la “strana coppia” non passa neppure al prossimo scrutinio allora si dovrà ricominciare da capo, partendo da nomi nuovi.

Mentre succede tutto questo il fardello di quel che non succede affatto si farà più pesante. Il jobs act, per dire. Accompagnato dalla pretesa di segnare una svolta nell’occupazione con il contratto a tutele crescenti e dalle polemiche sull’articolo 18 è una delle misura più attese, temute, invocate. Il suo approdo in aula è previsto oggi 23 settembre, ammesso che l’aula sia libera perché sempre oggi alle 12 riparte anche la votazione per eleggere i giudici laici del Csm e della Corte Costituzionale. Ed è la 14esima volta. C’è ancora un filo di speranza per il conclave dei giudici: negli ultimi 150 anni non c’è Pontefice che sia stato eletto con più di 14 scrutini.