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Referendum Scozia, il “no” è in vantaggio. Quebéc e Baviera: “Dopo toccherà a noi”

Secondo gli ultimi sondaggi, che hanno un margine di errore di circa il 5%, a poche ore dall'appuntamento con le urne, il fronte unionista sarebbe al 52%, contro il 48% degli indipendentisti. Intanto, anche la regione tedesca e quella canadese dichiarano di prendere spunto dall'esperienza scozzese per arrivare, in futuro, a una separazione

A poche ore dall’appuntamento con le urne per il referendum sull’indipendenza, il “no” è di nuovo in vantaggio in Scozia, almeno a quanto dicono i sondaggi condotti da Opinium e Icm (con un margine di errore del 5%), rispettivamente per il Daily Telegraph e lo Scotsman. I campioni analizzati parlano di un 52% di contrari all’indipendenza, contro un 48% che, invece, continua a sostenere il “sì”. Mentre le sorti del referendum scozzese rimangono in bilico, molti movimenti e partiti indipendentisti in tutto il mondo vogliono seguire l’esempio di Edimburgo. Dopo le manifestazioni dei catalani e le rivendicazioni dei veneti, ora anche gli indipendentisti del Parti Québécois (Pq), in Québec, e del Beyernpartei bavarese avanzano le loro rivendicazioni.

I separatisti della provincia francofona canadese stanno osservando con attenzione l’evolversi del referendum scozzese con l’intento di prendere spunto dalla possibile impresa degli indipendentisti della nazione che, attualmente, fa ancora parte del Regno Unito, tanto da inviare nel paese una vera e propria delegazione per seguire tutti gli sviluppi. Se il “si” dovesse avere la meglio, il Parti Québécois prenderà spunto dalla campagna elettorale degli indipendentisti scozzesi per provare anche loro a costituire un vero e proprio stato autonomo oltreoceano. Secondo quanto dichiarato da Jean-Francois Lisee, dirigente del Pq, esiste un rapporto di collaborazione pluriennale tra il movimento indipendentista scozzese e quello della provincia canadese che avrebbe portato più di una volta il gruppo europeo a far visita ai loro colleghi per studiare e imparare dai loro errori.

Il Québec ha già tentato, nel 1995, di ottenere l’indipendenza attraverso un referendum che non ha visto trionfare il fronte del “sì” solo per 1,2 punti percentuali. Gli unionisti riuscirono a “trattenere” la provincia canadese grazie al 50,6% dei voti, contro il 49,4% di chi voleva staccarsi dallo stato nordamericano. Secondo Andre Lecours, professore di scienze politiche all’Università di Ottawa, la campagna politica scozzese ha ottenuto i risultati sperati dagli indipendentisti perché sono stati capaci di fare quello che era riuscito anche ai loro colleghi canadesi 19 anni fa: “Galvanizzare quella parte di popolazione che, normalmente, non è coinvolta in certe questioni, riuscendo anche ad essere più chiari riguardo alle possibili conseguenze derivanti dalla vittoria degli indipendentisti”.

Il sentimento separatista si riaccende anche in Germania, con Florian Weber, presidente del Beyernpartei, un piccolo partito che dalla fondazione, nel 1946, si batte per lo sganciamento della regione del sud, che all’Ansa dichiara: “Il mio sogno è diventare ministro degli Esteri della Baviera. Questo significherebbe che il mio obiettivo politico è stato raggiunto”. Dichiarazioni che poco si avvicinano alla realtà, visto che in Baviera non si è mai sviluppato un forte sentimento indipendentista come in Scozia. L’imminente referendum, sostiene il leader bavarese, ha però risollevato il dibattito anche in una delle regioni più industrializzate del mondo: “Fino a poco tempo fa il separatismo bavarese non era preso sul serio – continua Weber -, da quando è iniziato il dibattito in Scozia, proprio in vista del referendum, il tema è diventato legittimo, se ne discute”. I risultati si vedono anche nei sondaggi: dall’ultimo rilevamento risulta che il 29% dei bavaresi è d’accordo con la separazione dal resto della Germania, contro il 23% di un anno fa. “Se le cose stanno così – conclude Weber – in 10 anni posso immaginare una Baviera autonoma”.