Osservando la dinamica politica degli ultimi tempi davvero non si capisce quale sia il piano. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 43,7%, la cifra più alta da quando si misura ovvero dal 1977: abbiamo creato una generazione perduta disse l’ex presidente Monti. L’Istat ha emesso un comunicato in cui rileva che “il recupero della crescita economica si annuncia più difficile di quanto prospettato”, cosa che fa molto agevolmente prevedere che il prossimo autunno sarà molto difficile e il governo dovrà probabilmente fare una manovra di una decina di miliardi di euro.
La spending review si annuncia essere un ennesimo colpo durissimo per le sempre più numerose fasce più deboli della popolazione che si dovranno accontentare della favoletta dello sgocciolamento: la crescente ricchezza dell’1% della fascia più ricca di cittadini, magari produrrà benessere, goccia dopo goccia, per tutti quanti.
In questo quadro buio e pericolante, qual è il problema di cui occuparsi? Semplice: la riforma del Senato. Senza spendere altre considerazioni riguardo a questa riforma, che potrebbe sembrare un diversivo se non alterasse in maniera sostanziale l’equilibrio dei poteri dello Stato, colgo l’occasione per segnalare l’appello del Fatto Quotidiano sottoscritto da Rodotà, Gianni Ferrara, Settis e altri per manifestare la propria contrarietà all’Italicum e al Senato delle autonomie concordate con lo stesso Berlusconi.
E dall’Italia che non s’arrende è nata un’altra iniziativa importante, il referendum contro l’austerità affinché vengano eliminati dalla nostra Costituzione i riferimenti a normative quali quelle che prevedono il pareggio obbligatorio di bilancio che sta soffocando ogni possibilità di ripresa condannando irreversibilmente il nostro paese, insieme a tutta l’Europa meridionale. Le riforme costituzionali s’intrecciano dunque in maniera inestricabile con le misure economiche: l’appello e il referendum, del tutto complementari, sono tra i pochi segnali che ancora esiste un’opinione pubblica reattiva in questo paese.