L’unico problema, come sempre, è che persino le riforme renziane devono avere uno straccio di copertura finanziaria: e questa proprio non l’aveva. Appena i tecnici hanno alzato il soppracciglio, però, li si è trattatti da gufi pure loro: ma intanto si è alzata provvisoriamente l’età del pensionamento a sessantotto anni, non si sa mai. Fra parentesi, è così che si fanno anche le riforme della Costituzione e della legge elettorale: si buttano lì delle proposte e poi le si cambia in corso d’opera, tanto chi legge i giornali del giorno prima? Infine, si è scoperto che pagare i professori per non lavorare costa più che pagarli per lavorare sino a settant’anni: ma pensa te. Così, si è spedito in Parlamento a confessare che non se ne faceva niente l’ennesima signorina-parafulmine, la vezzosa ministra Madia, protetta solo dalla sua autorità di mancata nuora del Presidente della Repubblica.
Ora, qualcuno sicuramente controbatterà che, per età e physique du rôle, il sottoscritto è poco meno barone e rincoglionito dei rottamandi: sicché, prima che lo faccia un altro, me lo controbatto da me. Poi, se vuole, controbatterà lui, e avanti così, controbattendocelo. O grullo, mi verrebbe da toscaneggiare, ma se dicessi le stesse cose e facessi il ciabattino, faccio per dire, che cosa mai potresti controbatterermi? Ma bando alle controbattute. Da decenni l’università italiana è squassata dalle smanie riformatrici degli apprendisti stregoni di turno: sicché, solo a sentire la parola riforma, la nostra mano corre spontaneamente alla Smith & Wesson. Ma posso fare una proposta anch’io? Sostituiteci con i ragazzi che oggi devono andare all’estero – uno per ogni pensionato, non uno ogni cinque, come ora – e all’estero ci andiamo noi, di corsa e senza salutare.