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Immigrazione, in Gran Bretagna, Francia e Svizzera via alla stretta sugli ingressi

Dopo la decisione di David Cameron sulla riduzione dei sussidi di disoccupazione per gli stranieri, il vicepremier Nick Clegg ha detto di voler ridurre il numero degli ingressi. Berna si prepara intanto a un nuovo referendum per introdurre un tetto annuo e Parigi, dopo il trionfo di Marine Le Pen alle Europee, pensa alle quote

In Gran Bretagna la campagna politica contro l’immigrazione è ormai trasversale. Dopo la stretta sui sussidi di disoccupazione per i cittadini Ue annunciata dal premier britannico David Cameron il 29 luglio, anche il leader dei Liberal Democratici, il vicepremier Nick Clegg, ha detto di voler ridurre a 100mila i nuovi ingressi annui nel Paese. “Cameron, come molti politici europei, ha dichiarato che il multiculturalismo è morto”, spiega al fattoquotidiano.it lo studioso tedesco Andreas Zick, capo dell’Istituto di Bielefeld per la ricerca sui conflitti. “La politica delle frontiere chiuse quindi non si basa sul tentativo di gestire l’immigrazione, ma è alimentata dai sentimenti di ostilità nei confronti di immigrati”, sostiene Zick. L’opinione pubblica britannica infatti non lascia dubbi sulla questione. Per citare uno dei tanti sondaggi in merito – l’edizione del 2013 dell’annuale British Social Attitudes Survey – il 53% della popolazione del Paese vorrebbe che l’immigrazione nella Gran Bretagna “fosse ridotta di molto”. Mentre secondo un altro istituto di sondaggi, Ipsos-Mori, nel 2014 per più del 40% della popolazione l’immigrazione è uno dei tre problemi nazionali di maggiore importanza.

Tendenza che non è solo inglese e che d’altronde non rappresenta una novità. Lo ha dimostrato uno studio prodotto nel 2011 da Zick insieme ai colleghi tedeschi per Friedrich Ebert Foundation, fondazione vicina all’Spd, e basato sui sondaggi condotti in sette Paesi europei negli anni 2008-2009. Più della metà di persone coinvolte in Europa si era detta contraria alla presenza troppo massiccia di immigranti nel loro Paese, augurandosi che nei tempi di crisi il lavoro fosse dato prima ai residenti. Malessere che è stato colto dai partiti populisti di estrema destra. Nella Gran Bretagna appunto alle elezioni europee di maggio scorso l’Ukip di Nigel Farage è stato premiato con la vittoria raggiunta con il 26,7% di voti. Lezione che è stata colta non solo dai Conservatori di Cameron, ma anche da tutte le altre forze politiche britanniche, in vista delle elezioni nazionali del 2015.

La campagna anti-immigrazione dei politici britannici, come anche di altri leader europei, si imbatte però nella resistenza di Bruxelles, che cerca di salvaguardare il principio cardine dell’Ue fissato nei trattati, quello della libera circolazione delle persone. Il governo di coalizione britannico, un anno dopo l’insediamento nel 2010, non ha avuto problemi ad introdurre il tetto sugli immigrati al di fuori dello Spazio economico europeo (che oltre ai 28 membri dell’Ue comprende Islanda, Liechtenstein e Norvegia). La vera sfida per Cameron è però la lotta all’immigrazione dai Paesi Ue. Come ha spiegato recentemente al Guardian il ministro all’Immigrazione britannico James Brokenshire: “Non possiamo imporre ufficialmente dei controlli sui migranti dai Paesi Ue, quindi ci concentriamo sulla stretta sugli abusi della libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri dell’Unione europea”. Ma anche l’irrigidimento dell’accesso ai benefit sociali viene punito da parte delle istituzioni europee. Nel 2013 Bruxelles ha intentato una causa contro la Gran Bretagna presso la Corte di Giustizia europea per la discriminazione contro i cittadini di altri Paesi Ue tramite un test aggiuntivo per avere il diritto di ricevere i sussidi di Stato.

Un altro Paese che ha riscontrato l’opposizione di Bruxelles nel tentativo di chiudere le frontiere è la Svizzera. Non fa parte dell’Ue, ma è legata all’Europa da diversi accordi bilaterali, tra cui quello sulla libera circolazione delle persone. Accordo che gli svizzeri hanno cercato di rinegoziare attraverso il referendum del febbraio scorso, promosso dal partito di estrema destra Udc, che ha deciso di istituire un tetto all’immigrazione a partire dal 2017. Decisione sulla quale potrebbe essere convocato un altro referendum nel 2015 o nel 2016, come ha annunciato nei giorni scorsi il presidente svizzero Didier Burkhalter.

Intanto anche in Francia prende piede l’iniziativa svizzera di istituire le quote sui migranti. Marine Le Pen, il leader del Front National, che ha trionfato alle elezioni europee raggiungendo il 24,8% dei consensi, aveva lanciato ancora a febbraio scorso una petizione per convocare in Francia un referendum sul modello svizzero. Ma anche i partiti tradizionalisti francesi, come l’Ump, hanno fatto simili appelli, con l’ex ministro della Giustizia di Nicolas Sarkozy, Rachida Dati, che nel marzo scorso aveva proposto dalle pagine del quotidiano Les Echos di istituire le quote sugli immigrati provenienti da altri Paesi Ue.

“I partiti tradizionali sono sotto pressione sulla questione immigrazione da parte delle forze populiste”, spiega al fattoquotidiano.it Maurizio Ambrosini, docente del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano. “Con i messaggi che vengono lanciati si mette in pericolo il principio base dell’Ue, quello della libera circolazione delle persone”, aggiunge Ambrosini. “Bisogna vedere però fino a che punto le politiche dichiarate verranno applicate in pratica”, conclude.