Diritti

Patto salute, Tribunale del malato: “Non risolve il problema di accesso alle cure”

Per il ministro Lorenzin con la firma del documento “la sanità è stata messa in sicurezza per le prossime generazioni”. Ma non la pensa così chi con la salute fa i conti tutti i giorni

Meno ospedali e reparti per il ricovero. Più assistenza sul territorio, garantita attraverso presidi e ambulatori con presenza continua di medici di famiglia e pediatri. Una revisione dei ticket che tenga conto del reddito delle famiglie. Possibilità per le Regioni di trattenere i risparmi ottenuti con il contenimento della spesa sanitaria, con l’obbligo di reinvestirli nel medesimo settore. Sono questi alcuni dei punti principali del Patto per la salute siglato settimana scorsa dai ministeri di Salute ed Economia e dagli enti regionali, che definisce anche l’ammontare del fondo sanitario per i prossimi tre anni: 109,9 miliardi nel 2014, 112 nel 2015 e 115,4 nel 2016, sempre che non intervengano tagli resi necessari da nuovi obiettivi di finanza pubblica. La firma del documento è stata accompagnata dalla soddisfazione dei governatori e del ministro Beatrice Lorenzin, secondo cui “la sanità è stata messa in sicurezza per le prossime generazioni”. Una valutazione con cui però non è d’accordo chi con la salute fa i conti tutti i giorni: i pazienti e i medici dipendenti del Sistema sanitario nazionale.

Accesso alle cure e ticket – “Il patto non risolve il problema di accesso alle cure dei cittadini, che sempre più spesso sono costretti a rivolgersi a strutture private o a non curarsi proprio”, accusa Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato. Una soluzione potrebbe derivare dalla riduzione o dall’eliminazione dei ticket. Ma il patto non affronta subito tale questione: una revisione dei ticket basata sul reddito e sulla composizione del nucleo familiare deve infatti essere portata a termine entro il prossimo 30 novembre. Un rinvio che pesa, sostiene Aceti, secondo il quale nell’accordo tra Stato e Regioni non si fa alcun riferimento esplicito ad “alleggerimenti dei ticket”, e neppure è così scontato che gli eventuali risparmi in ambito sanitario vengano investiti in tal senso dagli enti regionali.

“L’unico nodo sciolto – continua – è quello dei finanziamenti per il periodo 2014-1016. Per il resto il patto non affronta un tema importante come quelle delle liste di attesa e rinvia la risoluzione di diversi nodi: oltre ai ticket, la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) e la revisione del nomenclatore tariffario delle protesi”. Eppure questo documento è stato aggiornato l’ultima volta nel 1999, nonostante tutte le innovazioni tecnologiche intervenute nel frattempo. “Una persona affetta da distrofia muscolare che volesse avere una carrozzina all’avanguardia – spiega Aceti – dovrebbe sostenere di tasca propria costi che superano i 10mila euro”.

Meno posti letto, più assistenza territoriale – Secondo il coordinatore del Tribunale per i diritti del malato c’è poi un’altra mancanza nel patto per la salute: quella di non tenere conto dei ritardi di molte Regioni nello sviluppo dell’assistenza territoriale, verso la quale dovrebbero sempre più essere indirizzati pazienti cronici e non acuti, lasciando alle strutture ultra specializzate solo i casi più gravi. “La riduzione dell’offerta ospedaliera – dice – non è per il momento compensata dalla presa in carico dei pazienti sul territorio, in modo da garantire continuità assistenziale”.

E’ questo un punto debole sottolineato anche da Domenico Iscaro, presidente dell’Anaao, il sindacato più rappresentativo dei medici degli ospedali pubblici. Il documento – fa notare Iscaro – conferma per il futuro la linea secondo cui i pazienti con patologie di bassa complessità e quelli cronici debbano rivolgersi a strutture territoriali, mentre solo gli acuti vengano ricoverati nei reparti di alta specialità degli ospedali. Ciò consente il taglio dei posti letto e dei centri di ricovero. “Ma questo sistema funziona solo se entrambi i poli, alta specialità e territoriale, sono sviluppati”, sostiene Iscaro.

Il patto prevede che come strutture prossime al paziente le regioni istituiscano le Unità complesse di cure primarie (Uccp) e le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft). “Su questa strada, però, sono a buon punto solo Toscana ed Emilia Romagna – spiega Iscaro -. Qualcosa hanno fatto Veneto e Lombardia, mentre tutte le altre regioni sono indietro. Così si crea un vuoto in cui precipita la parte più disagiata della popolazione”. E finisce che “chi sta male deve per forza andare in ospedale, ma poi fa la fila al pronto soccorso visto che i posti letto sono stati tagliati”.

Che in molte regioni il nuovo modello non si sia ancora diffuso lo conferma Elio Borgonovi, presidente del Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) dell’università Bocconi di Milano, che fa notare come l’articolo del patto dedicato all’assistenza territoriale sia diviso in 27 capitoletti: “Se per definire il nuovo sistema c’è bisogno di ben 27 punti, vuol dire che questo non è pronto”. Per Borgonovi tuttavia è positiva l’accentuazione dell’assistenza sul territorio e il potenziamento dei servizi per i malati cronici. Fattori che hanno il plauso anche di Sumai e Fimmg, sindacati che rappresentano rispettivamente i medici specialisti delle strutture ambulatoriali e i medici di famiglia, le cui funzioni vengono ridefinite dal patto.

Pochi investimenti – Un altro aspetto positivo del patto, secondo Borgonovi, è che gli stanziamenti previsti per i prossimi tre anni chiudono la fase del periodo 2012-2013 in cui la sanità è stata dominata soprattutto dai tagli e dai vincoli finanziari. “Ma molte delle indicazioni previste nel documento – avverte – rischiano di essere solo degli auspici, visto che in più punti sono accompagnate dalla solita frase ‘senza ulteriori oneri per la finanza pubblica’”. Tasto dolente sono poi gli investimenti per il rinnovo e lo sviluppo tecnologico e infrastrutturale, la cui carenza nell’ultimo rapporto Oasi del Cergas è stata giudicata “un’ipoteca sul futuro e un implicito debito sommerso”. A tal proposito nel patto manca un reale cambio di direzione: “Al di là di qualche riferimento all’edilizia sanitaria e alla sanità digitale – rileva Borgonovi – si trova ben poco. E il tema di una ripresa decisa degli investimenti non c’è”.

@gigi_gno