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Gaza: le vittime, i carnefici e il fantasma europeo

Sconforto, misto a indignazione e rabbia, poi ancora sconforto, profondo dolore e tristezza per una vicenda che sembra non avere conclusione. Non si sa più che pensare, i torti e le angherie degli uni contro gli altri si sono sommati uno dopo l’altro, tanto che diviene impossibile provare ad “assegnare i punti” ad Israele o alla Palestina, due grandi sconfitti con nessun vincitore. E così sembra vederla il mondo, che osserva ormai con occhio annoiato o rassegnato una vicenda che si ripete da decenni sempre uguale a se stessa, senza passi avanti.

Da una parte un paese, Israele, che si definisce democratico, ma non lo è, solo teoricamente affine alle nazioni occidentali; basta recarsi li per accorgerci che non è proprio così, il modello scelto non è quello europeo, è un Paese permanentemente in guerra e si ritrova incapace di avere reazioni proporzionate alle offese. Da tempo lascia presumere di voler “chiudere” a modo proprio con la popolazione palestinese, incapace di pensare, dopo la morte del primo ministro Itzhak Rabin e dalle dimissioni del laburista Ehud Barak, ad un vero modello di pace che contempli il rispetto reciproco. Nel clima di insofferenza creatosi in Israele verso il mondo ostile che la circonda, si è accentuata una risposta politica sempre più dura, sprezzante, di eterna difesa intesa come perenne rivalsa verso il mondo arabo.

Dall’altra parte la Palestina che, perse molte delle sue risorse, dall’acqua alla pesca, dagli ospedali alle terre coltivate è divenuta un paese del Terzo mondo, con milioni di persone che vivono in povertà assoluta stipati in un lembo di terra neppure sufficiente ad accoglierne la metà. Anche qui, decenni di promesse non mantenute, di risultati mancati, hanno portato alla radicalizzazione e… ad Hamas.

Tra i due litiganti una storia che ognuno scrive a modo suo, piegandola alle ragioni dell’uno piuttosto che dell’altro, cancellando la memoria senza voler mettere a fuoco. 

Dietro alla guerra di religione, dietro all’irredentismo, all’autodeterminazione, ci sono motivi molto meno “nobili” che segnano l’ultima crisi israelo-palestinese. Un governo Netanyahu sostenuto da Israel Beytenu dell’ultranazionalista Lieberman, che ha voluto fortemente questa guerra, dall’altra uno dei più importanti gruppi politici guidato da Hamas che si comporta come dentro un’eterna guerriglia e che sta contribuendo a condannare a morte il popolo che dovrebbe rappresentare. Miserabili che giocano alla guerra per propri fini che nulla hanno a che vedere con la pace e la convivenza, con posizioni sempre parziali, prive di umanità e visione, sempre meno difendibili. Attorno a questi giochi assassini un contesto internazionale freddo, poco interessato a sporcarsi le mani in un affare che non sembra avere buone prospettive per nessuno.

L’amministrazione Obama si è caratterizzata, dopo la guerra in Libia, per un graduale disinteresse verso l’esterno anche a seguito delle brutte figure rimediate nello scontro con la Russia e l’accettazione supina, nei fatti, dei diktat di Putin. Eppure un organo internazionale che ha tutto il dovere e l’interesse a pacificare l’area c’è, si chiama Unione Europea. La crisi mediorientale non è solo Israele e Palestina, ma la crisi di un’intera area geopolitica che non ha più identità, confini e governo. Libia, Egitto, Israele, Irak, Siria e la progressiva islamizzazione della Turchia sono segno che qualcosa sta cambiando nel profondo, il tutto alle porte dell’Europa.

E’ la fine del disegno post-bellico che le potenze occidentali avevano pensato per quell’area, retto su paesi disegnati con il righello e dittature accondiscendenti e capaci di mantenere l’ordine. L’Unione Europea non ha più il tempo per litigare su una politica estera comune, deve agire. E’ necessario un tavolo con Arabia Saudita, Iran, Israele, Egitto e Turchia (gli altri paesi, di fatto, non esistono più) per definire il futuro di un’area sempre più instabile, dove ogni giorno muoiono migliaia di persone nella semi-indifferenza del mondo che si limita alla conta dei morti. Solo una grande potenza economica e politica può riuscire ad attivarlo. 

In Africa, il Mali, la Nigeria sono prigioniere di guerre motivate da un’avanzata dell’estremismo religioso islamico e in Repubblica Centrafricana da vendette di  pseudo-cattolici (scomunicati anche dal Papa). Il Medio Oriente è in piena involuzione, l’Europa è accerchiata. Le dimensioni di questo caos non sono quantificabili, né lo sono pienamente le conseguenze e le ripercussioni sui nostri paesi. Viviamo in una bolla, ritenendoci immuni dalla guerra, evento di cui si sente parlare solo ai telegiornali. In realtà tutto ciò che accade vicino alla nostra finestra – e il Mediterraneo lo è –  influenzerà il nostro futuro, la pace vera interessa anche a noi.