Diritti

Diritto all’oblio, dall’Europa 70mila richieste a Google. Ma link visibili in Usa

Dopo la sentenza della Corte europea di maggio il maggior numero di domande è arrivato dalla Francia. Per avanzare la richiesta bisogna compilare un modulo online e per far fronte al boom di domande, il motore di ricerca si è dotato di un nutrito gruppo di avvocati. Ma in qualche caso l'azienda ha agito con troppo zelo: sono stati rimossi anche articoli di giornale che nessuno aveva contestato

Settantamila richieste di cancellazione sommergono Google. Sono gli effetti della sentenza della Corte di giustizia europea che a maggio ha riconosciuto il diritto all’oblio degli utenti del motore di ricerca. Il maggior numero di richieste di rimozione è arrivato dalla Francia, seguita da Germania, Regno Unito, Spagna e Italia con 5.934 domande. In media, ogni richiesta di rimozione corrisponde a 3,8 indirizzi web. Il totale degli indirizzi dei quali è stata chiesta la rimozione è di 267.550, 23.321 dei quali arrivano dall’Italia.

I link vengono rimossi dai siti europei di Google, ma rimangono visibili da Goole.com, il dominio degli Stati Uniti. La sentenza della Corte europea prende origine dalla denuncia presentata da Mario Costeja González, un cittadino spagnolo, che aveva chiesto la rimozione di un link sul motore di ricerca relativo a un articolo che raccontava una vicenda in cui era coinvolto. La decisione della Corte ha sancito il diritto all’oblio sui motori di ricerca allargando il campo non solo ai contenuti diffamatori, ma anche a contenuti legittimi diventati inadeguati con il passare del tempo.

Secondo la Corte Google estraendo e organizzando i dati agisce come responsabile del trattamento delle informazioni e per questo motivo i cittadini europei che si sentano danneggiati da contenuti rintracciabili tramite Google possono chiederne la rimozione e rivolgersi alla giustizia in caso di mancata soddisfazione. Secondo la Corte è possibile chiedere la deindicizzazione (togliere il link alla notizia da Google) per le notizie “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”. Una definizione forse troppo generica e che assegna a Google (che avrebbe comunque fatto a meno di tutta questa storia) un ruolo decisivo nella cancellazione di link.

Per questo il motore di ricerca ha preparato un modulo online per chiedere la cancellazione dei link. Contemporaneamente ha ingaggiato un nutrito stuolo di avvocati che hanno il compito di valutare caso per caso le domande. Se vengano accolte il link viene rimosso dai siti europei del search engine e al loro posto apparirà la scritta “Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati. Ulteriori informazioni”. Il motore di ricerca però ha agito con troppo zelo cancellando anche sei pezzi del quotidiano inglese The Guardian, un post del blog di Robert Peston, giornalista economico della Bbc e altri articoli segnalati dal Mail online. Nel caso di Peston, il post riguardava Stan O’Neal, ex manager di Merrill Lynch, licenziato a causa di pesanti perdite ai danni della banca. Nonostante gli articoli del Guardian non fossero mai stati contestati e nessuno ne avesse chiesto la rimozione, gli articoli però sono spariti. Il risultato è che invece che cadere nell’oblio la vicenda di O’Neal è tornata clamorosamente sotto l’attenzione dei riflettori anche se sembra che il manager non abbia mai chiesto la cancellazione del link.