Economia & Lobby

Telecomunicazioni, cambiare la Legge Maccanico per rilanciare il settore

Avete presente la “Legge Maccanico” del ’97, la norma istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) che neppure menziona internet ma che si sofferma su aspetti di dettaglio irrilevanti o obsoleti? Un esempio fra i tanti? L’Autorità “determina gli standard per i decodificatori”: un nonsenso perché gli standard sono redatti da enti sovranazionali e ai lavori di questi organismi partecipano le Amministrazioni competenti e tutti i soggetti di mercato interessati.

Fra l’altro la norma istitutiva è stata gravemente azzoppata dalla modifica introdotta dalla cosiddetta legge “Salva Italia” e dettata da motivazioni di costo sacrificando efficienza e efficacia che, con il dimezzamento del numero dei commissari, ha squilibrato le due commissioni, quella su infrastrutture e reti e quella su servizi e prodotti (alias contenuti), aumentando enormemente in entrambe  il peso del presidente dell’Autorità.  Una scelta frettolosa, quella del governo Monti,  inspiegata ed inspiegabile, visto che i costi di Agcom gravano quasi totalmente sul sistema degli operatori, quindi sul mercato e non sullo Stato.

Altri aspetti? Quanti ne volete. Non tiene conto delle nuove competenze in materia postale (d’altra parte non potrebbe, sono arrivate dopo). Non ha mai chiarito quali siano i confini di competenza fra Agcom e Antitrust in materia di sanzioni, con il risultato di generare incertezza nel mondo degli operatori che possono essere sanzionati due volte per gli stessi comportamenti.

E ancora. Lascia ampi margini, nelle materie che discendono dalla regolamentazione europea, alla discrezionalità dell’Autorità, con il risultato – molto poco democratico – che su importanti decisioni, ad esempio quelle tariffarie, nessun livello decisionale di secondo grado possa intervenire efficacemente per correggere eventuali errori o imprecisioni.

Non impone, poi, un reale obbligo di trasparenza: non bastano le consultazioni degli operatori, sovente svolte a porte chiuse, ma oggi occorre usare tutti gli strumenti tecnologici a disposizione per consentire – nel rispetto dei diritti dei cittadini, delle imprese e della riservatezza industriale – a chiunque possa e voglia contribuire, di farlo efficacemente e, anche, informalmente, ma in modo pubblico assumendosene le responsabilità di fronte a tutti.

La vecchia legge – e questa è forse la carenza più grave – non chiarisce cosa dovrebbe avvenire se l’Autorità, malauguratamente, non dovesse rispettare la normativa primaria, ad esempio se le analisi di mercato triennali vengono ritardate o disattese. Più in generale, non stabilisce un “insieme di KPI” (key performance indicators) ossia di veri e propri obiettivi di prestazione, di carattere generale e di ampio respiro, che debbano essere rispettati dall’Autorità. Questo porta alla ritualità di una relazione annuale al Parlamento e al Governo che col tempo è divenuta sempre più atto formale senza reale capacità di indirizzo sui settori vigilati.

Facciamo un esempio. Se su materie regolate dall’Agcom il sistema degli operatori  si trova in perenne  e cronico stato conflittuale con controversie di rilevantissimo valore economico di fronte agli organi giurisdizionali amministrativi e civili, certo questo potrebbe non dipendere affatto dalla bontà della regolamentazione “ex ante”: ma il dubbio è quanto meno legittimo, specie se si entra nel merito di alcune specifiche regole caratterizzate da un inaudito grado di macchinosità ed invasività sul mercato. Perché la norma posta a fondamento dell’Agcom non prevede l’obbligo per l’Autorità di un periodico “benchmark” – corredato anche da confronto internazionale – rispetto agli esiti delle regole che essa stessa ha stabilito, in base al quale il Parlamento o la Commissione europea, a seconda delle rispettive competenze, possano intervenire con azioni di indirizzo o correzione?

Last but not least, rinviando alla legge n. 481/1995, la “Maccanico” prevede una durata in carica per il presidente e i commissari di ben sette anni mentre a livello internazionale per le Authority un valore tipico è cinque. Fra l’altro, una norma così pesante e dettagliata come la vecchia Maccanico, “si dimentica” di chiarire che il presidente non è rinominabile (a differenza dei commissari). Salvo che non si voglia uno stesso presidente Agcom per 14, 21 o 28 anni di seguito! D’altra parte, anche il divieto per i commissari di “scomparire” dal settore regolato per ben quattro anni a scadenza di incarico  è difficilmente spiegabile: dovrebbero essere sufficienti norme generali sull’etica dei comportamenti oltre che il ricorso a sanzioni pesanti in caso di loro violazione.

Molto altro si potrebbe dire e proporre su questa legge ormai vecchia e polverosa, non più al passo con i tempi: ma ciò che importa è porre il problema del rinnovo della norma all’attenzione degli addetti ai lavori e del Parlamento. Quanto meno, proviamo ad aprire un dibattito serio.

Ciò che serve oggi, infatti, è un’Autorità di regolamentazione ridisegnata alla radice, adatta alle nuove sfide di fronte a noi in un settore quale quello delle telecomunicazioni e di internet in cui tutto cambia rapidamente e quello che conta di più è una grande capacità di “vision” che una norma vecchia di oltre quindici anni, invece di incentivare,  nei fatti purtroppo ostacola.