Società

Scola e i miracoli: Milano avrà un vescovo ciellino

Ci siamo, sussurrano nelle chiese e in curia: il cardinale arcivescovo Angelo Scola ha cominciato a “ciellizzare” la diocesi di Milano. Il 28 giugno ordinerà in Duomo il primo vescovo ausiliare ciellino nella storia della chiesa milanese. Si chiama Paolo Martinelli, è un frate cappuccino, fa il professore all’Antonianum di Roma ed è vicino al movimento di Comunione e liberazione. Diventerà vescovo ausiliare (un aiuto all’arcivescovo nel governo di una delle diocesi più grandi del mondo) insieme ad altri due preti ambrosiani: Franco Agnesi e Pierantonio Tremolada.

Agnesi
è stato il pro-vicario generale della diocesi e il “moderator curiae” voluto dal cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini. Ora è vicario episcopale di Varese, e chi ha quell’incarico (come anche il vicario episcopale di Milano città) è tradizionalmente ordinato vescovo. Tremolada è invece vicario episcopale per un settore importante, quello dedicato all’evangelizzazione e i sacramenti. Entrambi sono “martiniani”, cioè cresciuti nel solco della tradizione pastorale e teologica della diocesi milanese, guidata negli ultimi anni da vescovi “forti” come Carlo Maria Martini e poi Dionigi Tettamanzi.
 
I preti di Milano e le loro comunità, nella stragrande maggioranza, hanno sempre guardato con sospetto i gruppi di Cl che crescevano ai margini delle parrocchie, considerati come una sorta di setta autonoma che non riconosce l’autorità diocesana e, per di più, tende a mescolare in maniera spregiudicata e disinvolta religione, politica e affari. Scola, che è cresciuto nel movimento di don Giussani, conosce bene questa tradizione ambrosiana e sa che è antecedente all’arrivo come vescovo di Martini: perché egli stesso, per diventare sacerdote, nel 1970 ha dovuto abbandonare il seminario diocesano (di fatto, una espulsione), perché al mitico rettore di Venegono, monsignor Bernardo Citterio, non piacevano i ciellini che usavano il seminario ambrosiano come un taxi per farsi ordinare preti, ma senza riconoscere di fatto i “superiori” diocesani, perché avevano i loro superiori, i loro teologi, i loro padri spirituali e, sopra tutti, lui, don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione.
 
Così Scola emigrò a Teramo, dove fu ordinato da un vescovo vicino al movimento di Cl. Nel 2011, ha avuto la sua rivincita: è tornato da arcivescovo nella diocesi che non lo aveva voluto fare prete. Ci è arrivato anche sospinto da una lettera mandata in Vaticano dal capo di Cl, Juliàn Carròn: una “raccomandazione” che conteneva giudizi duri sul predecessore, Tettamanzi, accusato, pur senza farne il nome, di “intimismo e moralismo”, di aver sostenuto il centrosinistra e Giuliano Pisapia e soprattutto di aver bollato “come affarismo le opere educative, sociali e caritatevoli dei movimenti” (cioè di Cl). Quando la lettera è diventata pubblica, Scola è stato chiamato dai suoi preti a spiegare quei giudizi e ha risposto rivendicando la sua autonomia dal movimento da cui proviene e promettendo di garantire la continuità con le tradizioni ambrosiane. Finora ha sostanzialmente mantenuto la promessa. Dal 28 giugno, però, l’incanto si rompe. Arriva un vescovo ausiliare ciellino. Quale ruolo avrà nella diocesi? Mistero: ancora non è stato annunciato quale sarà il suo incarico. Scola ha già inserito un altro ciellino nell’organigramma della curia: dopo aver “spacchettato” in quattro settori l’ufficio Ecumenismo, ha chiamato a dirigere quello dedicato al dialogo con le religioni orientali don Ambrogio Pisoni, assistente spirituale all’università Cattolica di Milano e uomo di Cl.
 
C’è che spiega così l’accelerazione degli ultimi mesi: Scola, dopo aver fatto il patriarca di Venezia, era arrivato a Milano con il programma di restarci poco; il passaggio dalla diocesi ambrosiana doveva servire per il grande salto a Roma, dove avrebbe dovuto sostituire Joseph Ratzinger e diventare papa. Non è andata così. Papa Francesco ha scombussolato anche questi piani. Così Scola si è convinto che ora la deve governare, questa grande diocesi. Anche cambiando organigrammi e tradizioni culturali.
 
il Fatto Quotidiano, 21 Giugno 2014