Cronaca

Rolling Stones a Roma, alla fine ha vinto Marino

Nessuna persona ragionevole può aspettarsi da un concerto dei Rolling Stones della buona musica. Forse l’ultimo è stato in Hyde Park, 5 luglio 1969, dopo la morte di Brian Jones, nonostante il tasso di eroina e alcol fosse abbondantemente sopra i livelli di guardia.

I Rolling Stones di oggi sono la dimostrazione di quello che hanno fatto, di cosa rappresentano e del dopo “loro nessuno”. Per questo portano in giro un baraccone, giusto per ricordarci che non c’è stato niente altro. Per questo e per motivi economici, ovviamente. Ma se Paul McCartney, da solo, continua a recitare il ruolo di un musicista, loro, con tutto quello che hanno rappresentato, non possono farlo, per limiti di età e non ne hanno la minima intenzione. Keith Richards è un signore che sembra capitato lì per caso, non sopporta nessuno, a malapena se stesso, sbaglia gli accordi, gira un copione che conosce a memoria e lo fa suo. Cosa potrebbe fare oggi dopo tutto quello che ha già fatto: è lui che ha trasformato il blues in rock, che ha tenuto in piedi una grande band che continueremo a trovare nei libri di storia. Mick Jagger recita il suo copione, a vederlo da lontano sembra anche che si diverta, come fanno Charlie Watts e Ronnie Wood, l’unico che non ha ancora oltrepassato i settanta, arrivato quando gli Stones erano già un’altra band dopo Brian Jones e la breve parentesi di Mick Taylor, grandissimo chitarrista, tornato negli ultimi anni (anche ieri) per un paio di brani.

Dette queste poche cose molto scontate e sentite già milioni di volte, i Rolling Stones devono esserci. E bene ha fatto il sindaco di Roma, Ignazio Marino, a offrire il santuario inviolabile (se non per lo scudetto della Roma, quando la Ferilli si spogliò per finta, giusto per capirci, e pochissime altre occasioni) del Circo Massimo. Solo così lo avrebbe trasformato in un evento. Se avessero cantato all’Olimpico sarebbe stato un già visto. Messi lì, in mezzo alla Roma che di grande ha appunto ormai solo la bellezza, è diventato un evento. Non era facile. Lo ha fatto da solo e contro tutti, in un momento in cui la popolarità di cui gode, fuori e dentro a quello che dovrebbe essere il suo partito, il Pd, è a meno di zero.

Cosa vogliamo dirgli? E’ stato bravo. Anche se l’occupazione del suolo pubblico era offerta in saldo ha avuto intuito e coraggio, ingredienti essenziali per governare una città. Gli Stones non sono un comizio, sono la storia di qualche generazione. E hanno ricambiato l’affetto ricevuto con un soggiorno di quattro giorni, e per una volta sui giornali stranieri associate all’Italia non sono finite storie di Topolanek e corruzione. I biglietti a 80 euro erano proibitivi, ma sicuramente la città non ci ha rimesso un centesimo. Anzi. D’altronde i grandi sponsor che ci furono non sono più disposti a un concerto gratis, e non c’è amministrazione comunale che possa permetterselo. Sarebbe bello, giusto, sarebbe la strada, ma vendere i sogni a volte è rischioso.

Meglio confrontarci con la realtà. Marino – che comunque ne sbaglia una al giorno, bene inteso – questa volta ha fatto una cosa, seppur piccola e di nicchia, per quello slogan (quasi sempre elettorale) che si chiama rilancio del turismo. Non sappiamo come sia andata la trattativa, se oltre ai 7000 euro per l’occupazione del suolo pubblico non era possibile avere, ha fatto bene. L’alternativa, probabilmente, era regalare gli Stones a Lucca, al Summer Festival, cornice meno prestigiosa, ma altrettanto suggestiva dal punto di vista coreografico.