Emilia Romagna

Caro Langer, abbiamo continuato in ciò che era sbagliato

Le piante di albicocco a luglio danno i frutti. Creano litri di profumo nell’aria e ti riportano in quella dimensione che dovrebbe essere naturale, impalpabile, ma che soffia sull’umore quotidiano più di un bacio. Luglio è appiccicoso nelle grandi città. E questi sono giorni così, con qualche settimana di anticipo. Credo sia questo il motivo per cui mi trovo a scrivere un post che dal punto di vista strettamente cronologico è già sbagliato. Sono passati 19 anni, era il 3 luglio 1994, quando Alex Langer salutava con un grido silenzioso: “Continuate in ciò che era giusto”. Aveva fondato i Verdi, ma aveva anche costruito ponti, spiegato la convivenza, passeggiato nella Sarajevo bombardata, insegnato nei licei di periferia. Aveva fatto tutto quello che un uomo può per contribuire a cambiare in meglio. Poi ha appeso la vita a una corda, ma tutti quelli che lo hanno apprezzato una spiegazione, alla fine, se la sono data. Per arrivare alla convinzione che di più non avrebbe potuto.

Non lo sappiamo più cosa fosse giusto o meno. Abbiamo fallito. Non abbiamo proseguito in un bel niente. Ci sono state le elezioni europee, ma l’Europa è diventata la prosecuzione di una campagna elettorale che ogni Paese si gioca su un piatto diverso, guarda ai propri equilibri. E le campagne elettorali sono quasi sempre, qui e fuori di qui, becere, costellate di vaffanculo, più o meno sussurrati, e speranze vendute come palette e secchielli. “Troppa è la corruzione, la falsità, il trionfo dell’apparenza e della volgarità”, diceva Langer nel 1991.

Nulla è cambiato. I politici, certi politici, la maggioranza, si muovevano e si muovono come una banda bassotti molto più spietata e criminogena, avida di danari, soprattutto oggi, che la crisi ha reso consapevoli anche loro che la minestra è quasi finita. La sinistra è destra e la destra è sinistra, senza distinzione, perché non è che non esistano più le ideologie, sono scomparsi i valori che avevano una loro cartellonistica.

E allora mi accontento di riprendere le parole di Langer. Abbiamo la fortuna che un signore che di Langer era fratello maggiore e minore, ci crede ancora. Si chiama Edi Rabini, vive a Bolzano. E tiene viva la memoria. Io, dallo spazio di questo blog, provo a fare altrettanto, senza grandi risultati. Se vuoi correre sul filo dell’ascolto devi adeguarti al linguaggio della politica, insultare, parteggiare, vendere un prodotto che non c’è. Provo a non farlo, perché non lo sporco il nome di una delle menti migliori che questo Paese ha avuto e che ha rinunciato anzitempo alla possibilità di continuare a dire la sua. Lo aveva già fatto, e nel modo migliore.

E’ un passaggio della lettera a San Cristoforo, anno 1990. Non avrete difficoltà a trovare la versione completa: “Il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema e universale di una civiltà in espansione illimitata: citius, altius, fortius, più veloci, più alti, più forti, si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi…competere, insomma. La corsa al “più” trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile e incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita “economia” e da una legge della scienza definita “tecnologia” – poco importa che tante volte di necro-economia e di necro-tecnologia si sia trattato.

Che cosa resterebbe da fare a un tuo emulo oggi, caro San Cristoforo? Qual è la Grande Causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla riva di un fiume? Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare?
Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del di più a una del può bastare o del forse è già troppo”.

Langer queste cose le aveva già capite 24 anni fa. Noi non siamo ancora oggi in grado di decifrarle. Ce lo diranno i tempi. Torniamo alle campagne elettorali. Aspettiamoci vaffanculo e venditori di speranze che assomigliano più a rappresentati di un’azienda che vende aspirapolvere che non a presidenti del consiglio. Aspettiamoci ancora la corruzione e qualcuno che dica, “sì, lavoravano per noi, ma non sono dei nostri”. In realtà lavoravano con loro e per loro.

Un abbraccio forte ad Alex Langer, ovunque sia rintanato a leggere e conoscere. Con l’aggravante che ci siamo limitati a continuare in tutto quello che era sbagliato.

Immagine tratta da “In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer”, graphic novel di Nicola Gobbi e Jacopo Frey

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