Cronaca

Stragi di Stato, non basta una “lettera” per far luce

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica di ieri la “Direttiva per la declassifica e per il versamento straordinario di documenti all’archivio centrale dello Stato” ovvero il provvedimento annunciato nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio al fine di far cadere – così si è detto e si è scritto – il segreto su atti e documenti che dovrebbero consentire a giornalisti ed opinione pubblica di vederci, finalmente, più chiaro su alcune delle più sanguinose stragi consumatesi nel nostro Paese e su alcune delle pagine più buie della storia della Repubblica.

E’ un “gesto” importante, sintomatico – non essendovi ragione per dubitare della buona fede del premier – dell’intenzione del governo di incamminarsi lungo la strada della trasparenza ma guai a sopravvalutare quanto realmente accaduto e la portata del provvedimento appena pubblicato in Gazzetta.

Tanto per cominciare quella firmata dal capo del governo è “solo” una direttiva, un provvedimento di indirizzo e coordinamento che vale “semplicemente” ad impegnare le amministrazioni cui è rivolta – in questo caso i ministri della Repubblica, l’Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, il direttore generale del DIS e i direttori di AISE e AISI – a far propri e “condividere” gli obiettivi enunciati nel provvedimento medesimo che, pertanto, è – bisogna dirlo con estrema chiarezza – più simile ad una “lettera” che ad un decreto legge o ad un legge ovvero ad un provvedimento capace di imporre effettivi obblighi giuridici in capo a questa o quell’amministrazione.

Basta leggere il secondo paragrafo della direttiva per averne conferma ovvero quello in cui Matteo Renzi scrive ai destinatari della sua comunicazione che “allo scopo di corrispondere favorevolmente” alle aspettative di trasparenza dell’opinione pubblica, reputa “necessario intraprendere da subito ed in via straordinaria un percorso con l’obiettivo di rendere conoscibili in tempi ragionevoli, tenendo conto anche delle complesse operazioni a tal fine necessarie, gli atti relativi ad alcuni dei più significativi eventi sui quali si registra un ricorrente interesse”.

Siamo, dunque, all’inizio di “un percorso”, con “un obiettivo”, da raggiungere in “tempi ragionevoli” e relativo ad “alcuni dei più significativi eventi”.

E’ un indirizzo, un’indicazione, una linea politica ma davvero niente di più.

E, d’altra parte, nella direttiva di Renzi non c’è un solo termine entro il quale questo o quell’adempimento dovranno essere posti in essere, se non un generico riferimento all’obiettivo di fare in modo che il versamento della documentazione oggetto del provvedimento negli Archivi di Stato avvenga “anticipando significativamente i tempi di versamento di norma previsti in almeno 40 anni dalla cessazione della trattazione corrente”.

Un riferimento vago ed assai poco rassicurante in relazione ai tempi in cui effettivamente si realizzeranno – se si realizzeranno – le annunciate finalità di trasparenza.

Ma non è solo una questione di tempi che dovranno, probabilmente, essere necessariamente lunghi ma anche di contenuto.

Sul punto è, innanzitutto, opportuno ricordare – giacché nella comunicazione istituzionale ed in quella dei media la circostanza è stata in taluni casi omessa o dimenticata – che la direttiva non ha niente a che vedere con l’eliminazione del Segreto di Stato giacché nessuno degli atti, dei documenti e delle informazioni che dovrebbero essere riversate negli archivi di Stato è coperto da segreto.

Egualmente merita di essere segnalato che, a dispetto degli annunci e dei rilanci da parte di alcuni media, la direttiva non ha una portata strutturale e generale ma riguarda “solo” le informazioni relative ad alcuni specifiche stragi che hanno insanguinato, in tempi lontani di oltre un trentennio, la storia del nostro Paese.

La “declassifica” che è obiettivo – ma non conseguenza diretta ed immediata – della direttiva, riguarderà, anche ammesso che le amministrazioni cui il premier ha scritto ne rispettino le indicazioni, esclusivamente gli “eventi di Piazza Fontana a Milano (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della Questura di Milano (1973), di Piazza della Loggia a Brescia (1974),  dell’Italicus  (1974),  di  Ustica  (1980), della stazione di Bologna (1980), del Rapido 904 (1984)”.

Il premier, quindi, con la sua direttiva non si impegna in alcun modo né impegna le altre amministrazioni dello Stato a cambiare strutturalmente le regole ed a fare in modo che, almeno per il futuro –  e sebbene con tutte le necessarie cautele in termini di privacy e sicurezza – l’opinione pubblica possa sistematicamente avere accesso ad atti, documenti ed informazioni, in possesso dello Stato e relativi a pagine buie e dolorose della vita del Paese.

La trasparenza, in Italia, continua, dunque, ad essere trattata come un’eccezione rispetto ad una regola – anacronistica nell’era di Snowden e Wikileaks e antidemocratica – che sottrae una montagna di atti, documenti ed informazioni alla conoscenza di molti, lasciandoli a disposizione di pochi che, naturalmente, si ritrovano in una condizione di “privilegio informativo” idonea a minare e falsare ogni equilibrio istituzionale e democratico.

Senza, quindi, voler svuotare di significato il gesto del premier – che ha pur sempre suggerito ed indicato una strada importante -, guai ad eccedere negli applausi perché si sottolineerebbe un drammatico fenomeno con il quale, prima o poi, dovremo fare i conti: quello per il quale, in Italia, ormai, scelte istituzionalmente e democraticamente “normali e doverose” vengono classificate come “eccellenti ed eroiche”.