Cronaca

Codice identificativo: solo chiacchiere sul distintivo

Sembrano quei triti servizi di moda che iniziano con: “Chi l’avrebbe mai detto che sarebbero tornati di moda i pantaloni alla zuava?”. Vorrei saltare sul divano e urlare: “Io! Io! L’avrei detto io!”.

E non perché sia un esperto di moda. Ma perché in questo Paese, ciclicamente, ci si fanno le stesse domande.

Per darsi le stesse risposte. O non  dare alcuna risposta. Come in questo caso.

 Nel 2007, alle Iene ci occupammo del caso di una tifosa del Manchester che era venuta a Roma a vedere una partita di Coppa.

Durante alcuni scontri, le fu rubata (la si può chiamare “sottrazione”, ma di un furto a tutti gli effetti si trattava) una macchina fotografica, perché stava filmando un gruppo di poliziotti  intervenuto all’interno dello stadio Olimpico. Intervistammo un dirigente, il quale dichiarò che l’operato del poliziotto (ribadisco: di un  poliziotto, il protagonista della“sottrazione”) era stato non solo scorretto ma gravissimo.

La tifosa inglese aveva sporto denuncia. Però non si poteva identificare l’agente, visto che aveva una fazzoletto sul volto. Alla specifica domanda se “fosse legale coprirsi il volto”, la risposta fu: “Assolutamente no”.

 Se serve, facciamo l’elenco delle cose che vanno dette (magari vi evito la fatica di qualche commento prevedibile):

–   occuparsi di ordine pubblico è una cosa difficilissima;

–   un conto è stare qui a scrivere, un conto è stare in strada con la gente che ti tira di tutto (ma non si dovrebbe essere preparati bene a questo tipo di situazioni, soprattutto se fai parte di uno dei famosi “reparti mobili”?);

–   si rischia di rispondere a violenza con la violenza (idem la storia sulla preparazione).

 Non sono quel genere di persona che guarda la divisa con diffidenza. Anzi. La guardo con grande ammirazione. Pensando allo stipendio da fame e alle grandissime responsabilità. So che rappresenta lo Stato. Quando vedo un posto di blocco (o mi fermano per un controllo), non ne sono infastidito. Ne sono rassicurato.

Chi è che si lamenta, nascondendosi dietro la scusa del diritto alla privacy, delle telecamere nelle città, della presenza massiccia delle forza dell’ordine, dei controlli?

Chi ha qualcosa da nascondere.

Ogni volta che ci sono episodi come quello avvenuto la settimana scorsa (manifestanti inermi calpestati e malmenati) rispunta la domanda – a cui si può dare la stessa risposta – : “Perché le forze di sicurezza italiane non sono dotate di codice identificativo?”.

Il ministro Alfano si è detto assolutamente contrario. Ma non ha spiegato perché. Anzi, ha rincarato: lo dovrebbero portare i manifestanti. Su questo siamo d’accordo: il diritto sacrosanto a manifestare nulla ha a che vedere con la libertà a sparare bombe carta o a mettere a ferro e fuoco una città.

Per questo, ministro, la maggior parte delle persone si domanda come mai si permetta a dei presunti manifestanti di accedere ai cortei con il volto coperto. E, che tutti si sia riconoscibili, lo chiedono soprattutto i cittadini che in strada vanno a protestare. Perché non ci stanno a passare per violenti o “teppistelli” frustrati.

Dunque la domanda è: non è la stessa cosa che vogliono i poliziotti per bene, che, suppongo, siano la maggioranza?