Politica

Renzi, impari qualcosa dal Papa

Signor premier Renzi, dinanzi al potere vero in Vaticano lei ha smesso il (calcolato) stile sgarzolino, che esibisce di solito. Niente tweet roboanti. Quando vuole, sa controllarsi. Ottimo. La visita che ha fatto al pontefice la settimana scorsa non la dimenticherà facilmente. Francesco è forte. Non si limiti a omaggiarlo, dall’incontro può imparare parecchio.

A Francesco non piace chi mente. Se in Vaticano sostituisce qualcuno, non dice prima “stai sereno”. Francesco risponde alle domande, non fugge invocando il treno o nascondendosi dietro la pubblicità alla tv come è successo con lei da Lilli Gruber. Francesco non ha stima per i corrotti. Immagino anche lei: ha voluto il magistrato Cantone all’Autorità anticorruzione. Perché poi si è premurato di abbassare le pene per il voto di scambio tra politici e mafiosi? E dove sta la logica nell’escludere l’arresto per bancarottieri e corrotti esordienti? Cantone, con garbo, ha osservato che “ci saranno conseguenze per quanto riguarda i reati da strada, come il furto, e per quelli contro la pubblica amministrazione”. Sono i reati che affliggono la maggioranza degli italiani. La cosa non sembra interessarla.

Francesco schifa chi evade le tasse e poi si presenta a fare regali alla Chiesa. Lei l’evasore principe lo ha invitato nella sua “casa” politica. Eppure nessuno dei votanti alle primarie del Pd ha chiesto di ospitare al Nazareno un pregiudicato – espulso dal parlamento – per patteggiare con lui riforme costituzionali. Nel suo discorso di insediamento al Senato la parola “evasione” non si trova da nessuna parte. Latita.

Francesco denuncia un meccanismo economico che rende i ricchi più ricchi e impoverisce sempre di più la stragrande massa dei deboli (che ormai include il ceto medio): lei vuole dare 80 euro a chi ha poco e promette molto per i giovani. Siamo con lei, l’Italia aspetta. Ma non capisce perché da Palazzo Chigi ha twittato orgogliosamente “siamo stati di parola”, abolendo la web-tax per i giganti del business che fanno incassi miliardari su internet. Francesco manda i collaboratori ad alleviare le pene dei barboni sotto le sue finestre, lei ha promesso una legge sul lavoro e sul salario minimo. Bene. Non si comprende perché intanto spinge alla precarietà per tre anni milioni di giovani e non tocca le false partite Iva. Francesco critica la cultura dello scarto, lei nel suo orizzonte neanche vede i pendolari scartati nei treni carro-bestiame e ignora cosa significhi per le famiglie tagliare gli Intercity.

Osservi Francesco. Anche lui ha la sua riforma costituzionale in corso. È un monarca assoluto e tuttavia per riformare la curia chiede il parere di persone di tutte le tendenze, riunisce comitati di persone competenti, riesce – senza ridicoli diktat – a rivoltare come un calzino le finanze vaticane, dimostrando che si può fare presto e bene. Ha mai visto collaboratori del papa pronunciare slogan giulivi, compitati in fretta la sera prima? Lo ha mai sentito pronunciare minacce? Non prova imbarazzo vedendo alla tv una sua ministra parlare di “sana mobilità obbligatoria” per gli statali, quando l’unica esperienza dell’incauta è stata la veloce mobilità da una corrente di partito all’altra?

Le assicuro che guardare il governo vaticano in questa fase è un’esperienza estremamente istruttiva. Francesco suscita il dibattito intorno a sè, vuole ascoltare opinioni differenti per essere più efficace nelle decisioni, non insulta chi lo critica. Rispetta chi dissente. Non dice “cardinale chi?”, quando qualche porporato scende in campo, anche pesantemente, con prese di posizione opposte alle sue. Meno che mai pretende che quanti avanzano proposte diverse le ritirino, accucciandosi alla voce del padrone.

Sa qual è un altro tratto interessante di questo papa argentino? Ha conosciuto le bidonville sul serio, andandoci mese dopo mese, anno dopo anno, ma non lo sentirà mai declamare “io che conosco meglio la realtà delle famiglie…”. È un papa così mediatico – per suo carisma naturale, si potrebbe dire – ma quanto più è presente sulla scena pubblica tanto più lascia da parte ogni forma di autoreferenzialità. Anzi l’aborre. Non è egolatrico. Non le pare un esercizio di leadership interessante?

Non si disperi, Matteo, lei può migliorare il suo stile (e il suo inglese).

Dal Fatto Quotidiano del 9 aprile 2014