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Lo stile di Caressa e quello di Mazzola: qual è il Paese migliore?

Sandro Mazzola e Fabio Caressa. Uno ha giocato al calcio, l’altro parla. Ma parlare non significa anche dire. Sandro Mazzola piangeva l’altro giorno. Figlio di Valentino, non ha sopportato l’affronto di uno striscione ignobile esposto dai tifosi della Juventus nello stadio amico (e di proprietà). Hanno sfregiato il ricordo di Superga e lui ha pianto. Si è anche chiesto come sia possibile che certe cose accadano e sin qui la sua domanda contiene parti di ingenuità che fanno onore al figlio che è stato. Ma più lucidamente poi si è domandato come mai un giudice sportivo non abbia chiuso immediatamente quella curva, sostituendola con un silenzio più dignitoso. L’ignobiltà vale appena venticinquemila euro. E uno sdegno da tinello di Andrea Agnelli.

Fabio Caressa non piange. Però parla e a Radio Deejay formalizza quel che è il suo pensiero, estendibile naturalmente alla politica sportiva di Sky. Riguarda soprattutto Napoli e i cori che ormai accompagnano la stagione dei tifosi. Colerosi, lavatevi, incitamenti al Vesuvio perché sommerga di lava la città e altro che ci piace risparmiarvi. Il pensiero di Caressa, direttore giornalistico di Sky, riflette quello del Paese? 

Ci dice, divagando con Zazzaroni, che ormai la misura di chiudere le curve non serve più, visto che i cori schifosi contro i napoletani continuano imperterriti. E che semmai, per un Paese come il nostro che vuole crescere, l’umiliazione vera è vedere il deserto allo stadio. Sostanzialmente, sarebbe come dire che visto si continua a rubare nella nostra splendida Italia, si continua a uccidere, si continuano a violentare donne inermi, ecco, allora il carcere, le pene, gli anni di galera, non hanno più alcun senso e bisogna pensare a qualche altro provvedimento più efficace.

Io lo capisco il fastidio di Caressa. È il fastidio liquidatorio di chi assiste a qualcosa di socialmente riprovevole che si riflette (anche economicamente) su un fenomeno sportivo com’è il calcio. Sporcandone una certa immagine, che il racconto della televisione vorrebbe sempre luminoso e patinato. Come se parlare costantemente (perché costantemente accadono) di comportamenti ignobili, alla fine potesse spostare l’attenzione dal calcio più giocato a quello più socialmente discutibile.

E dunque, cosa propone la soluzione “caressiana”? Non l’educazione né la repressione (in questo ordine), bensì la rimozione del problema. Sostenendo cioè che il privare i tifosi più mentalmente deturpati del loro giocherello preferito, non è la soluzione migliore perché i medesimi se ne fanno un baffo e reiterano i comportamenti peggiori. Come se lo Stato, a un certo punto della sua storia, abdicasse ai suoi doveri perché “tanto” il crimine continua.

C’è un’ipocrisia di fondo e in questa ipocrisia il direttore di Sky si ritrova in ottima compagnia con buona parte dei presidenti. Non è vero che la chiusura delle curve non ha prodotto risultati, per il semplice motivo che non è mai stato un provvedimento organico: oggi sì, domani forse, domani l’altro no. Un singhiozzo legislativo che i tifosi hanno immediatamente captato per quello che era e cioè un calar di braghe clamoroso. O, più malignando, una vera mancanza di interesse a contrastare il fenomeno. Ma noi siamo l’Italia e in qualcosa dobbiamo pur distinguerci: abbiamo ancora le mafie, e residui di terrorismo hanno continuato a vivere sino a pochissimo tempo fa. Negli altri Paesi civili, i fenomeni socio-criminali hanno un inizio e una fine. Da noi sono eterni, e qualcuno si chieda il perché.