Il Fatto del Lunedì

Il Cile e l’incanto del Norte Grande: dove osano i lama

Diciassette ore di volo e dal cielo plumbeo dell’aeroporto alla partenza, ci troviamo immersi nel cielo blu cobalto delle Ande. Mi accingo a visitare uno dei luoghi più belli del pianeta.

1^TAPPA – Arica, una sorta di Rimini cilena, con belle spiagge e alberghi di lusso, dominata da un Pan di Zucchero in miniatura, El Morro, alto poco più di 100 metri anche qui sormontato da un Cristo a bracce levate. La chiesa di Arica è stata progettata da quel Eiffel che qualche anno dopo avrebbe costruito quella torre a lui dedicata, in una delle città più belle d’Europa, Parigi.

2^ TAPPA Il programma prevede all’indomani, la salita alla cittadina di Putre, porta d’ingresso al meraviglioso Parque nacional di Lauca, uno dei più alti del mondo, che ingloba vulcani, ghiacciai, e numerosi laghi, tutte a quote medie tra i 4000 e 5000 metri. Centocinquanta chilometri che dai zero metri di Arica mi porterà ai 3500 di Putre, con una strada che attraversa questa sottile nazione, fondovalle verdissimi sormontati da deserti aridi, come quello del rio Lluta.

La salita è graduale, e colpisce il gran numero di croci e cappellette al lato della carreggiata, soprattutto in discesa, è Raul la guida che mi delucida, spiegandomi che ricordano i tanti incidenti mortali che qui avvengono spesso, e più frequentemente in discesa, quando i camion carichi di materiali, e non perfettamente in regola, surriscaldano i freni per la forte pendenza a tal punto che si fondono, e precipitano nei burroni qui sotto. Sui 2500 metri cominciano a fare la loro comparsa i cactus candelabri (Browningia candelaris) prima sparuti poi sempre più numerosi, come una folla, che crescono tra pietre e sabbia, a trentacinque gradi di giorno e meno 5 di notte; davvero ben adattati a quest’ambiente non c’è che dire.

Verso i tremila metri il cielo è incredibilmente blu, l’aria secca e il ronzio nelle orecchie comincia a prevalere sull’indescrivibile silenzio delle alte quote. Faccio fermare Raul e andiamo a fotografare dei cespugli di fiori gialli molto simili alle nostre arniche, ma ci accorgiamo che nel salire sul dosso, alto poche decine di metri ci comporta molta fatica e “fiato”, il nostro organismo non è abituato a questa quota. Raul mi racconta che quando un viaggiatore arriva qui ha due alternative: pernottare due tre notti a Putre, 3500 metri, per dare modo all’organismo di adattarsi alla scarsità di ossigeno; oppure andare avanti, fregandosene del mal di testa opprimente, e inseguire con gli occhi e il fuoristrada il “miraggio” dei vulcani gemelli, Parinacota e Pomerape (6350 m) che come due enormi attici dominano il Norte Grande, nel cuore del parco nazionale di Lauca. L’opzione due, senza peraltro riuscire a vederli per il forte maltempo, la pago con un paio di giorni di forte malessere, che il the di foglie di coca riesce a ridurre di poco. Ho letto molte poesie di Neruda, e versi di Sepulveda, ma così il Cile si riesce solo a intuirlo, fantasticando, con i vulcani dalla perfetta forma conica e la sommità innevata, così come si disegnano da bambini, i deserti e il vento, ma per raccontarlo bene questo luogo fuori dal mondo, devi esserci stato di persona.

Passati tre giorni, Raul mi dice che ora comincia la vera salita, quella che ci porterà al lago di Chungarà, a 4800 metri il più alto del mondo. Dobbiamo prepararci.

3^ TAPPA Dopo i due giorni di “puna”, così si chiama qui il malessere da mancanza d’ossigeno, il regalo è immenso e quando raggiungiamo i 4500 metri, ci rendiamo conto che siamo in una delle realtà naturalistiche e paesaggistiche più belle del Cile. Un luogo dove dimora la bellezza e i rullini finiscono a una velocità folle, il Parco nazionale di Lauca è una sconfinata zona umida alimentata da numerosi rigagnoli, e dove, guardando con attenzione, nelle zone in ombra, si possono vedere e fotografare bellissime trame ghiacciate, perché quassù la temperatura scende anche a -10, tutta quest’acqua da vita a una vegetazione particolare, bassa e compatta “i bofedales”. Tra le rocce vulcaniche sputate in tempi neanche troppo remoti dal vulcano Parinacota, crescono enormi cuscini verdi, all’apparenza soffici, ma in realtà duri come le pietre, alimento principale degli alpaca, guanachi e lama, questi ultimi allevati dai pochi pastori aymarà.

A queste quote vivono quasi 150 specie tra mammiferi e uccelli ma il più raro di tutti e quasi in via d’estinzione è l’Homo sapiens. C’è solo un villaggio, Parinacota, con la sua chiesa e il campanile separato come si usa da queste parti, all’interno del cortile 3-4 bancarelle che vendono prodotti artigianali confezionati dagli abitanti, per i pochi turisti che si avventurano fin quassù, e parlando con uno di loro scopro che in questo villaggio vivono 30 persone compreso i bambini, i giovani vanno via presto a cercar fortuna ad Arica e Iquique le due città più grandi sulla costa. Qui all’addiaccio e alla solitudine restano solo i più piccoli e i pastori.

Il lago Chungarà, come un enorme specchio riflette alla perfezione le sagoma innevata del Parinacota, 6350 metri, ed è alimentato da miriadi di ruscelletti e solcato da uccelli neri molto somiglianti alle nostre folaghe ma in versione gigante. Più in là gruppi di fenicotteri andini intenti con il loro caratteristico incedere, alla ricerca di cibo, filtrando l’acqua, con il collo perennemente in giù. Avanti un chilometro una sbarra segna il confine con la Bolivia, e una piccola casermetta del CONAF, i forestali cileni, dove uno di loro ci spiega alcune mie curiosità circa il colore dei fianchi di un vulcano fumante, che fotografo, a pochi chilometri da qui.

4^ TAPPA – Il giorno seguente, salutato il barista di Putre e dopo aver bevuto l’ennessimo the di coca, con Raul ci mettiamo in viaggio per raggiungere l’altro Parco nazionale del Norte Grande, quello del vulcano Isluga. Poche ore e sono anche qui attratto dal vulcano che da qualche giorno sta dando segni di risveglio, incontriamo alle sorgenti dell’omonimo rio, a 3500 metri d’altitudine, un gruppo di ricercatori dell’Università di Santiago, intenti a prelevare vegetazione e animaletti dalle acque rese rosse da miriadi di lenticchie d’acqua, e in questo fantastico scenario, 1750 chilometri quadrati dominati dal vulcano alto 5535 metri, tutti sono concordi nel dirci che siamo nella zona più remota e disabitata del Cile. Poco più a nord, dopo 5 chilometri di polvere ci imbattiamo in una piscina naturale termale di acqua calda, sui 33°, assolutamente sperduta nell’immensità dell’altopiano, e la voglia di fare un bagno è forte e irrefrenabile. Il tuffo viene male, perché il bordo è reso scivoloso dalle alghe e dal fango, ma vi assicuro che la sensazione di benessere è stata fortissima, con quel popo’ di spettacolo negli occhi, vulcano in eruzione davanti e a sinistra nevai bianchissimi, mi sono sentito come ribattezzato un’altra volta.

Arrivati al villaggio di Iquique per bere qualcosa (the alla coca?) ci rendiamo davvero conto di cosa vuol dire vivere la quotidianità in un posto come questo, dove si ha a che fare sostanzialmente con due problemi, uno il freddo, qui di notte si arriva anche a meno 25, l’altro, la solitudine. E la conferma arriva quando cominciamo a parlare con un pastore Aymarà, sul vulcano che si sta svegliando del più e del meno, ma al momento del congedo fa di tutto per trattenerci, e non riuscendoci perché per noi era ora di rientrare pronuncia in dialetto locale “vi prego restate ancora un po’, qui le parole valgono più dell’oro”.

5^ TAPPA – Percorriamo la Panamericana dritta dritta, anche per trenta chilometri consecutivi, per rrivare alla nostra ultima meta prima del rientro in Italia, il deserto più perfetto di tutti i deserti, quello di Atacama. Da queste parti ci dice Raul ridendo, il più disoccupato e annoiato di tutti è il metereologo. Qui non cade una goccia di pioggia da decenni, confermato dal paesaggio che la Panamericana sta attraversando, più che lunari direi marziani, con dune e pietre rossastre, cotte dal sole e lisciate dal vento, di tanto in tanto incontriamo vecchi edifici, oficinas, dove all’inizio del secolo lavoravano i minatori del salnitro, ingrediente principale dei concimi, ma ora assolutamente abbandonati, con ancora il piccolo cimitero e i fiori sulle tombe in ferro ormai arrugginiti, e addentrandosi in questi villaggi fantasma si scopre il piccolo teatro, un piccolo campo equestre, e addirittura la piscina in ferro, esclusiva dei manager.

In questo momento, qui di miniera funzionante c’è né una sola ed è la più grande al mondo che estrae rame a cielo aperto, quella di Chuquicamata. Verso sera arriviamo a San Pedro de Atacama, in fondo solo le cime più alte sono ancora illuminate dal sole rosso, ed essendo noi a 2500 metri quelle cime superano abbondantemente i 5000 metri. San Pedro de Atacama è abitata da 1000 abitanti stabili ma negli ultimi anni i turisti che arrivano qui trovano davvero dei buoni hotel come l’Explora e altri, e possono visitare anche un bellissimo museo dove è possibile vedere diverse mummie, alcune antichissime, che sono state trovate ben conservate dal deserto.

Il paese sorge sul margine del Salar de Atacama, il lago salato più grande del Cile e secondo al mondo dopo quello boliviano di Uyuuni. 3000 chilometri quadrati di assoluta bellezza, con un biancore accecante e formazioni di sale geometriche, di tanto in tanto macchiati da gruppi di fenicotteri andini, e in fondo i vulcani tra i più attivi del mondo tra cui il Licancabur. Da qui si parte per fare gite nella valle della Luna o della morte, luoghi dove il sale affiorante inganna lo spettatore facendogli credere di essere in un ambiente innevato, ma a 40 gradi.

Qui si estrae il litio più che in ogni altra parte del mondo ed è la vera ricchezza, ma un altro spettacolo non dovremo assolutamente perdere, segnatevelo anche voi, il geyser di El Tatìo. Si parte la mattina presto alle tre per essere sul posto alle 5,30, quando la temperatura esterna è di meno 7, questo contrasta con l’acqua calda dei geyser, facendola fumare e trasformando il luogo in un inferno dantesco, con vapori bollenti sputati da varie pozze, e i minerali che nei secoli si sono depositati nei numerosi rigagnoli formano quasi dei quadri astratti tanto sono colorati. Una meraviglia a 4000 metri d’altezza. Tutt’intorno solo cactus e pietre, un terreno che non dà guadagni, ma dai tempi dei tempi prova a dare grande spettacolo, e noi siamo qui.

Curiosità

Il deserto dei deserti per antonomasia, quello di Atacama, è situato nel Cile settentrionale nella regione di Antofagasta, ed è chiuso a destra dalla cordigliera costiera pacifica e a sinistra dalle Ande. Non c’è dubbio, questo è il luogo più asciutto del mondo, per un motivo ben noto, perché la corrente fredda di Humboldt, sale dal Pacifico e fa raffreddare l’aria soprastante rendendo impossibile la formazione di nuvole. Qui per alcuni periodi non è caduta goccia di pioggia per 40 anni consecutivi. La sua età e datata 15 milioni di anni e nel 2003 scienziati inviati dalla NASA per collaudare i moduli spaziali Viking 1 e Viking 2, per verificare la vita microbica su Marte, anche qui non sono riusciti ad individuarne nessuna.

Inoltre, unico caso al mondo, in questo immenso deserto non vi è alcuna oasi. Al contrario, è molto ricca però di minerali, come l’atacamite, i nitrati di sodio, rame, ed è per questo motivo che nel 1879-83 vi fu una guerra, chiamata del Pacifico, e nella contesa di questo prezioso suolo, il Cile vinse contro la Bolivia annettendo a sé quella parte del deserto di Atacama ricca di minerali.

INFORMAZIONI UTILI

Lingua – Spagnolo, abbastanza diffuso nelle aree turistiche l’inglese
Moneta – Peso cileno, nei ristoranti si usa lasciare una propina, mancia del 10%
Fuso orario – 5 ore in meno in estate e meno 4 in inverno rispetto all’Italia
Salute – Non sono richieste vaccinazioni. Importante considerare le alte quote. Persone che hanno problemi cardiaci o difficoltà respiratorie non dovrebbero affrontare escursioni che possono salire fino ai 5000 metri.
Internet – www.chile.com
Cucina- La cucina cilena è ricca e varia. Si possono gustare ottimi piatti di pesce freschissimo e crostacei sulla costa, la carne di manzo è ottima ovunque, e anche la carne di lama e alpaca è tenera e delicata, diffusa soprattutto nei villaggi d’alta quota andini. La carne di lama viene accompagnata da papas negras, sono patate di colore viola e dolci, e dalla quinta, un cereale che cresce sulle Ande fino a 4000 metri d’altezza, in Bolivia, Cile e Perù.

Per raggiungere Arica, da cui partono le spedizioni per i parchi del Norte Grande, si deve volare a Santiago del Cile con la compagnia di bandiera Lan Chile, e da qui proseguire con un altro volo fino ad Arica, altre due ore e trenta

Per organizzare un viaggio ci si può affidare a Esplora, compagnia di viaggio cilena, Azalai expedicion viaggi – www.Latitud90.com

Per Dormire
Hotel Esplora a San Pedro de Atacama
Hotel Larache a San Pedro de Atacama
Hotel Kukuli a Putre
Hotel Aldea a San Pedro de Atacama

Per mangiare
K’uchu Marka a Putre, cucina andina con carne di alpaca o ottimi panini in un ambiente vivace
Cafè Adobe a San Pedro de Atacama, uno dei locali più frequentati della cittadina