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Caso marò, tra realtà e velleità

Esperti in imbarazzi e inefficienze gli uomini, e le donne, delle istituzioni italiane tentano la carta dell’indignazione contro le lungaggini giuridiche per sfilare i due marò dalle mani del potere indiano. All’ennesimo riaccendersi della questione che da ormai quasi due anni (era il febbraio 2012 quando i due fucilieri di Marina furono arrestati per l’uccisione di due pescatori presi per pirati) funesta l’immagine diplomatica di Roma, suonano i tamburi di guerra per mobilitare la patria nel nome dell’onore – e della vita – di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Delegazioni parlamentari s’apprestano a partire per New Delhi per testimoniare vicinanza con i militari del battaglione San Marco, “reclusi” nell’ambasciata italiana. Anche esponenti dei 5 Stelle si dovrebbero recare in India per cercare di capire come stanno le cose. Nel frattempo il governo italiano ha fatto ricorso presso la Corte suprema indiana per gli evidenti ritardi della giustizia asiatica: in due anni i due marò non sono nemmeno stati incriminati, ma hanno visto più volte aleggiare sul loro capo la pena di morte. Anche il ministro degli Esteri indiano ammette l’“imbarazzante” ritardo.

Ma l’atteggiamento italiano pare incapace di sfuggire al cliché della democrazia occidentale nei confronti di “paesi in via di sviluppo”. È vero che la lentezza dei tribunali indiani ha portato la questione a divenire un tema della campagna elettorale – si vota a maggio – nel quale il partito al governo rischia per via dell’“italiana” Sonia Gandhi (capo del partito del Congresso e madre del suo candidato), ma i politici romani paiono dimenticare che l’India è la più popolosa democrazia al mondo, 1 miliardo e oltre 200 milioni abitanti e in costante espansione economica e diplomatica: un gigante mondiale di fronte a un’Italia che perde posizioni.

La Corte suprema a New Delhi ha fatto sapere di esser pronta a discutere della richiesta italiana già lunedì, e a Roma si spera che possa essere il momento decisivo, benché ogni volta che la giustizia asiatica abbia promesso di prendere una decisione si sia persa in garbugli e rinvii molto italici.

Il Fatto Quotidiano, 16 Gennaio 2014