Giustizia & Impunità

Stato-Mafia, Napolitano ai giudici: “Niente da riferire. Valutate se revocare ordinanza”

Il capo dello Stato ha inviato una lettera alla corte d'Assise, dopo che la procura di Palermo lo ha citato come teste al processo per riferire sulla missiva ricevuta da Loris D'Ambrosio. In quella missiva il consigliere giuridico del Quirinale esprimeva il timore di essere stato "un ingenuo e utile scriba per indicibili accordi"

Una lettera lunga due pagine, autografata dal presidente della Repubblica, per chiedere la cancellazione della sua deposizione. È il nodo fondamentale della missiva spedita da Giorgio Napolitano ad Alfredo Montalto, giudice della corte d’assise che presiede il processo sulla Trattativa Stato – mafia. Una richiesta, quella di Napolitano, che non ha precedenti nella storia giudiziaria italiana.

Il capo dello Stato, infatti nonostante la legge lo preveda, vorrebbe evitare di deporre come teste. Il motivo? Dice di non sapere assolutamente nulla delle vicende che sono d’interesse della corte. Il nodo principale che ha richiesto la citazione del capo dello Stato è rappresentato dall’ormai nota missiva di Loris D’Ambrosio, ex consulente del Colle già in servizio all’alto commissariato antimafia, che il 18 giugno 2012 esponeva al presidente i suoi dubbi per essere stato “utile scriba di indicibili accordi” tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, lo stesso periodo in cui, secondo l’accusa, si sviluppa la Trattativa.

L’ex consulente giuridico del Quirinale scriveva al Capo dello Stato proprio negli stessi giorni in cui veniva chiusa l’indagine sul patto Stato – mafia, e agli atti venivano depositate le decine di intercettazioni in cui lo stesso D’Ambrosio s’intratteneva in lunghe conversazioni con Nicola Mancino, l’ex ministro dell’Interno timoroso di finire indagato, e poi puntualmente rinviato a giudizio per falsa testimonianza. Perché D’Ambrosio rende partecipe Napolitano di suoi personalissimi dubbi risalenti ad un ventennio prima? E quali sarebbero questi dubbi, che nella lettera al Colle rimangono imprecisati? Domande che i pm vorrebbero rivolgere al destinatario della missiva. Napolitano, invece, annuncia di non sapere nulla dei fatti in questione. E piuttosto che aspettare la data della sua deposizione, prende carta e penna per scrivere direttamente al giudice: “Ritengo in proposito doveroso – scrive il Capo dello Stato ­- farle presenti le seguenti circostanze: la lettera indirizzatami il 18 giugno 2012 dal dottor Loris D’Ambrosio, con la quale egli volle rimettermi l’incarico (da me conferitogli il 18 maggio 2006) di consigliere per gli Affari dell’Amministrazione della giustizia, è stata, per mia libera iniziativa, pubblicata nella raccolta di miei interventi del periodo 2006­-2012 sulla giustizia. Quella mia iniziativa, di certo non dovuta, corrispose a un intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del consigliere D’Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo, e da cui venivano ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore”. Come dire: sono stato io a pubblicare la lettera di D’Ambrosio, per fare da contrappeso alla diffusione delle intercettazioni che non lo mettevano certo in buona luce.

Da segnalare il passaggio contenuto tra parentesi, (testi registrati, non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) in cui il capo dello Stato adombra possibili irregolarità nella diffusione delle conversazioni tra D’Ambrosio e Mancino. “Il giorno seguente – prosegue il capo dello Stato –  il 19 giugno 2012, lo invitai nel mio studio­ alla presenza del segretario generale della Presidenza della Repubblica ­per tentare di rasserenarlo, e per confermargli stima e fiducia e farlo anche per iscritto, consegnandogli la lettera (inserita poi a sua volta nella pubblicazione da me già ricordata) con la quale lo invitavo a mantenere l’incarico di mio consigliere”.

A sentire Napolitano, però, neanche durante quell’incontro al Quirinale, D’Ambrosio avrebbe fatto cenno ad alcun dubbio pregresso, al contrario di quello che invece scrive nella missiva recapitata il giorno prima al capo dello Stato. “Per quel che riguarda il passaggio della lettera del consigliere D’Ambrosio cui fa riferimento la richiesta di mia testimonianza ammessa dalla Corte, non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo. L’essenziale è comunque il non aver io in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ipotesi ­ ‘solo ipotesi’ ­ da lui enucleate e il vivo timore, di cui il mio consigliere ha fatto generico riferimento sempre nella drammatica lettera del 18 giugno, rinviando al suo scritto inserito, come sapevo, nel recente volume di Maria Falcone. Né io avevo modo e motivo ­neppure riservatamente, nel colloquio del 19 giugno ­di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai ­data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato come durante il mandato del presidente Ciampi ­ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche (presidente della Camera dei deputati) del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia”.

Mai, in pratica, il capo dello Stato chiese al suo consigliere (poi deceduto nel luglio dello stesso anno) a cosa si riferisse quando faceva cenno – per iscritto – a non meglio precisati “indicibili accordi”. Quella missiva di D’Ambrosio, piena di dubbi e spunti utili per ristabilire alcuni passaggi cruciali, rimase praticamente lettera morta. Ecco perché il capo dello Stato arriva a consigliare al giudice le modalità da tenere per chiudere la questione. “Così stando le cose, sottopongo queste precisazioni alla sua attenzione affinché la Corte possa valutare nel corso del dibattimento, a norma dell’art. 495, co.4, c.p.p., il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso”. L’articolo del codice di procedura penale citato da Napolitano in coda alla sua missiva è quello che consente al giudice di revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue. Montalto ha messo a disposizione delle parti la missiva del Colle. Solo dopo si deciderà se interrogare ugualmente Napolitano, o se cancellare la sua deposizione, come richiesto esplicitamente dal Colle. Un fattispecie più unica che rara. 

Twitter: @pipitone87

 

Lettera Napolitano ai giudici di Palermo from ilfattoquotidiano

Lettera Napolitano 2 from ilfattoquotidiano