Società

Associazionismo: Villa Pallavicini, uno spazio comune dove ognuno si sente a casa

In fondo a Via Padova, c’è Villa Pallavicini. Per noi della zona questa Villa è diventata un punto di riferimento: la sentiamo un po’ come una delle nostre case. E’ la fede costante e l’impegno di un piccolo gruppo di donne che ha fatto di questa casa una fucina di proposte culturali. Ma, ai miei occhi, il vero pregio di questa casa è quello di essere diventata un’ancora, un rifugio per molti di coloro che, appena arrivati da noi, non trovano altra risposta ai disagi, spesso estremi, che caratterizzano il loro tentativo di inserirsi nella vita della nostra città. Soprattutto i giovani e le donne: ascolto, aiuto, sostegno e affiancamento. Viste da fuori queste donne possono apparire reduci della vecchia sinistra, reperti archeologici di un sogno che ormai non c’è più. Per me sono diventate “solo” amiche, delle vere “compagne” di strada. Un’esperienza da conoscere insomma. E chi può cerchi di farlo. Lascio la parola a Emanuela.

E’ proprio così: 18 anni fa abbiamo aperto un’associazione e ci ritroviamo con una grande famiglia in un luogo in cui molti dicono di sentirsi a casa. Sarà per la scelta dei mobili, che provengono per la gran parte dalle case dei nostri soci, oggetti carichi di ricordi da cui hanno dovuto separarsi. Sarà perché la Villa è sempre aperta: dalle 9 del mattino a mezzanotte. Chiunque può entrare, assistere alle varie attività e interrompere per qualche minuto il silenzio della propria solitudine. Dentro la villa le persone si guardano con affetto perché si sentono a casa. Gli stessi che, fino a pochi minuti prima, si scrutavano con diffidenza sull’autobus, varcata la soglia dell’associazione, si sentono amici, perché il luogo è garante. Diciotto anni fa, in un gruppo di 5 cittadini, abbiamo deciso di aprire questo spazio. I locali in affitto sono una porzione di villa del 1400 che si affaccia sul Naviglio Martesana. Il nostro desiderio, da subito, è stato di metterci al servizio degli abitanti della  zona e della città. Abbiamo chiesto loro cosa avrebbero desiderato da  questo luogo. E le giornate si sono riempite.

Si comincia al mattino con la scuola d’italiano, frequentata prevalentemente da donne che portano con sé i propri figli. Alcune volontarie si prendono cura di loro. Dopo la scuola qualche momento di calma e tornano le donne per prepararsi all’esame per la patente capitanate da un vigile in pensione, o le donne che frequentano lo spazio pre/post-parto che riempiono la villa di pannolini e vagiti, o le donne del gruppo di socialità che invadono i locali con i profumi dei loro dolci. Alle 19 si riprende con i corsi serali d’italiano. Gli iscritti sono prevalentemente uomini, ma anche ragazze/i e bambine/i bisognosi di supporto scolastico. Sono le 21:00. Gli studenti vanno a casa, arrivano i ballerini di danze sarde, greche, i cantanti dei due cori che la Villa ospita, i membri del comitato di cittadini stranieri, comitati della zona e altri gruppi informali di cittadini, si fa teatro. Il sabato e la domenica vedono la Villa trasformarsi in location per feste, concerti, presentazioni di libri, assemblee pubbliche. E ancora decine di persone che riempiono gli spazi.

Penserete che la Villa sia immensa ma non è così. Disponiamo di soli 160 metri ma abbiamo messo, le ruote alle gambe dei tavoli. Queste magiche ruote ci permettono di trasformare la sala più volte al giorno, da scuola a palestra, e poi ancora a scuola e poi a sala per concerto. Immaginate questo vorticoso ciclo di eventi, l’impasto, la contaminazione. Le lingue, i profumi, le note, le lavagne, i palloncini. Immaginate le persone che s’incontrano, si scrutano, poi si salutano, si rincontrano. Si danno appuntamento. La ragazza marocchina accompagna l’anziana italiana, la donna egiziana entra in sala parto per sostenere una donna algerina, una volontaria passeggia a braccetto di una madre rumena tenendo per mano i bambini. E così piano piano cambiano le strade, le scuole, i parchi, le sale d’attesa dei pronto soccorsi.

E si attua quello di cui tanto si parla: coesione e integrazione. Non grandi e pompose parole che riempiono libri, convegni e giornali, ma gesti semplici e quotidiani, fatti di passione, amore, rispetto e dedizione. E anche sofferenza perché per andare incontro all’altro si deve spesso rinunciare a piccole parti di sé. Ma grande è la ricompensa quando vediamo i bambini che, passando vicino alla Villa, tirano le proprie mamme e strillano perché vogliono essere portati dentro, al loro armadio dei giochi.