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Datagate e governi sovrani: tutti alla larga dalle ambasciate Usa

“Mi sai dire Michelle perché gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo mai travolto da un colpo di Stato?”. A New York Michelle Bachelet è seduta al pranzo d’addio offerto dai signori Clinton. Se ne va dalla Grande Mela dove ha diretto l’agenzia Onu per le donne. Torna a Santiago; si ricandida alla presidenza. Allarga le braccia: non ne ha idea. Bill Clinton nasconde nell’ironia le verità che non si possono dire: “Per nostra fortuna non abbiamo un’ambasciata americana”. 

Nel 1999, prima di lasciare la Casa Bianca, sgombra le ombre ereditate dalle famiglie Bush, padre e figlio, 12 anni di intrecci segreti che avvelenano i servizi degli Stati Uniti. Le spie che una volta arrivavano dal freddo arrivano dai computer. Clinton anticipa lo Snowden profugo a Mosca e ordina alla Cia di rendere pubblici i misteri che avvolgono la morte di Allende, presidente cileno. E la Cia prova a disobbedire. Si aggrappa a Henry Kissinger responsabile della sicurezza nazionale. “L’operazione Allende è la fotocopia di tante altre in ogni scenario del mondo. Si capirà che siamo stati noi, sempre noi. Una rovina…”.
Rendono invisibili 55 mila intercettazioni e con l’arrivo di Bush figlio le affondano nell’emeroteca Cia del College Park assieme alle pagine imbarazzanti sulle guerre organizzate dal nuovo presidente.

Ma ormai la verità viaggia in Internet, impossibile fermarla. Clinton ce la fa, Obama ci sta provando perseguitato dalla profezia di Kissinger: “L’Europa? Solo un numero di telefono”. Non sono mai stati segreti davvero segreti.

Nell’ottobre 2009 per sbugiardare il Berlusconi in crociata contro i giudici che “abusavano” delle intercettazioni (“in Italia si controllano i telefoni 4 volte più degli Stati Uniti: siamo la vergogna del mondo”), racconto sul Fatto di una scoperta curiosa a Miami. Amici americani dell’Herald mi accompagnano in un palazzo senza finestre, imposte disegnate giallo-rosa. Sul tetto galleggiano tre immensi globi bianchi. Non cisterne d’acqua: il palazzo era ed è l’orecchio delle spie. Dietro l’allegria degli stucchi, pareti d’acciaio che sopportano gli uragani forza cinque: è la sede dell’agenzia privata Global Crossing agli ordini della Nsa, Sicurezza Nazionale. Nessun sotterfugio: il signore che ci accoglie spiega fin dove può spiegare. Ogni giorno – proprio ogni giorno – il palazzo registra 650 milioni di telefonate, non solo chi chiacchiera negli States, ma voci che arrivano da Europa e Sudamerica raccolte da ambasciate bene attrezzate o dagli 007 locali dalla gentilezza squisita. I computer imbustano voci e post per analisti che classificano gli aggiornamenti nell’archivio centrale di Langley, Cia, Virginia.

In altre orecchie dei mausolei senza finestre ascoltano in California e attorno a Washington raddoppiando i dossier delle indiscrezioni. Inseguono traffici di armi, giochi di banca, strategie di mercato, droga. Adesso lo sappiamo: anche capi di Stato e capi di governo. “Chi non ha niente da nascondere può dormire tranquillo “, rassicura il portavoce robot della Global. Ma la Merkel è furiosa perché cresciuta nella Germania Est dove in ogni palazzo i tovarich di turno registravano i discorsi degli inquilini. La rabbia di Dilma Rousseff, presidente del Brasile col cellulare sotto tiro, rifiuta l’invito a pranzo di Obama e propone che ogni paese possa controllare il traffico nazionale di Internet.

Per governare senza interferenze è davvero necessario stare alla larga dalle ambasciate americane? Per il momento Obama non sa cosa rispondere, l’esempio di Clinton potrebbe aiutarlo.

Il Fatto Quotidiano, 29 Ottobre 2013