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Tibet, le forze di sicurezza cinesi sparano contro manifestanti: feriti

Secondo l’emittente statunitense Radio Free Asia la folla chiedeva il rilascio di un concittadino arrestato per aver protestato contro l’ordine di esibire la bandiera nazionale della Cina. Nel corso della protesta la polizia avrebbe usato anche i gas lacrimogeni. Nei giorni scorsi, secondo fonti locali, sono state arrestate quaranta persone

Fuoco cinese contro manifestanti tibetani. Le forze di sicurezza  hanno sparato aperto il fuoco contro la folla che chiedeva il rilascio di un concittadino, arrestato per aver protestato contro l’ordine di esibire la bandiera nazionale della Cina. Secondo l’emittente statunitense Radio Free Asia decine di persone sono rimaste ferite nelle violenze, che hanno avuto luogo domenica nella contea tibetana di Biru: almeno due dei feriti verserebbero in gravissime condizioni. Diversi manifestanti sono stati colpiti alle gambe e alle braccia. Ad alcuni sono state negate le cure. La polizia ha lanciato anche gas lacrimogeni e testimoni hanno riferito di numerose persone cadute in terra prive di sensi.

Il governo tibetano in esilio ha fatto sapere di aver ricevuto segnalazioni della sparatoria nella contea di Biru, ma non ha saputo fornire dettagli. Il portavoce Tashi Phuntsok ha confermato che ci sono notizie di alcuni manifestanti feriti. La polizia, per evitare il diffondersi delle notizie, avrebbe sequestrato cellulari e macchine fotografiche e ha bloccato molte delle strade di accesso alla zona. Interrotte anche le linee internet.

La radio ha citato residenti locali e tibetani che vivono in esilio, ma non è stato possibile verificare la notizia con altre fonti. La Campagna internazionale per il Tibet (Ict) ha riferito nei giorni scorsi che le autorità avevano intensificato la presenza delle forze di sicurezza nella contea di Biru, nota come Driru in tibetano, e nelle zone circostanti dopo che alcuni residenti avevano rifiutato di esporre bandiere cinesi per commemorare la Giornata nazionale festeggiata il primo ottobre. La manifestazione di domenica era stata organizzata per chiedere il rilascio di Dorje Draktsel, arrestato la settimana scorsa per aver partecipato a una protesta contro l’ordine relativo alle bandiere.

Dall’inizio di settembre le forze di sicurezza cinesi, circa 18mila agenti, avevano deciso di tenere sotto stretto controllo la contea proprio a seguito del rifiuto degli abitanti di issare la bandiera cinese sulle loro case in vista della festa nazionale. C’erano stati anche scontri che avevano portato all’arresto di almeno 40 persone tra cui il manifestante di cui si chiedeva la liberazione. Alcuni villaggi, come Mowa e Monchen, dove c’era stata la rivolta dei cittadini locali contro l’obbligo della bandiera cinese, erano stati circondati dalle forze di sicurezza cinesi.

Agli arrestati, oltre che ai feriti durante gli scontri, secondo fonti locali, erano state negate le cure in ospedale, mentre ai rivoltosi era stato minacciato di non permettere ai loro figli di andare a scuola. Oltre 1.000 tibetani avevano manifestato organizzando anche uno sciopero della fame di 24 ore per chiedere la liberazione dei prigionieri, poi concessa. Intorno ai villaggi erano stati istituti posti di blocco che controllano tutti coloro che intendono entrare o uscire dai villaggi.

I problemi nell’area sono iniziati lo scorso 27 settembre quando, a pochi giorni dalla festa nazionale cinese del 1° ottobre, migliaia di funzionari governativi e operai cinesi sono arrivati nella contea di Nagchu forzando le famiglie della zona e numerosi religiosi a issare la bandiera cinese su tutte le loro case, in segno di sottomissione all’egemonia cinese. A seguito del rifiuto di molti tibetani di obbedire sono iniziati scontri tra i residenti e la polizia locale. Alcuni tibetani, secondo quanto si apprende da fonti locali, avrebbero gettato nel fiume diverse bandiere cinesi in segno di protesta.

Dal 2008 le aree della Cina con una forte presenza di tibetani sono frequentemente teatro di episodi di repressione e violenza da parte delle autorità cinesi. Il popolo tibetano sfida l’egemonia del governo di Pechino rivendicando il diritto di avere una propria identità soprattutto culturale, linguistica e religiosa, che invece Pechino non riconosce. Dal 2011 sono 121 i tibetani che si sono dati fuoco in nome della libertà del Tibet e per il ritorno dall’esilio del loro leader spirituale, il Dalai Lama. Sono 24 le immolazioni dall’inizio di quest’anno. Sul totale delle autoimmolazioni, 103 sono uomini, 19 donne, 24 erano minori di 18 anni.