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Usa, Obama sullo shutdown: “Non cederò. Basta attacchi alla riforma sanitaria”

Il presidente degli Stati Uniti chiede ancora una volta ai repubblicani di abbandonare la loro richiesta: il rifinanziamento delle agenzie del governo federale in cambio di modifiche dell'Affordable Care Act. Ma tra le forze politiche continua lo stallo e soprattutto il rimpallo delle responsabilità

“Non cederò alle richieste irragionevoli di una fazione di un partito. Basta con gli attacchi alla riforma sanitaria. Riaprite il governo federale”. E’ durissimo Barack Obama, che chiede ancora una volta ai repubblicani di abbandonare la loro richiesta – il rifinanziamento delle agenzie del governo federale in cambio di modifiche sostanziali alla riforma sanitaria. I repubblicani, o almeno i settori conservatori del partito, non sentono ragioni e rilanciano la sfida. Il risultato è lo stallo totale, con la serrata del governo federale che potrebbe allungarsi pericolosamente nel tempo. Alcuni a Washington già parlano di “giorni, forse settimane”.

Per tutta la giornata di martedì è continuato un balletto di dichiarazioni e commenti che avevano sostanzialmente un obiettivo: scaricare sugli avversari politici la responsabilità dello shutdown. “Il governo ha chiuso per l’irresponsabilità di ciò che ha avvenuto dall’altra parte del Congresso”, ha detto il capogruppo democratico al Senato, Harry Reid, con chiaro riferimento ai repubblicani della Camera. “Finalmente i democratici hanno avuto quello che volevano, la chiusura del governo federale”, gli ha risposto il collega repubblicano Mitch McConnell.

A fine giornata, martedì sera, è emersa una nuova, l’ennesima, proposta dei repubblicani, pronti non a votare una legge di finanziamento complessiva, ma una serie di provvedimenti parziali, che riaprano il flusso di denaro verso alcune agenzie del governo. A essere interessate dal ritorno dei finanziamenti sarebbero quelle che si occupano dei programmi per i veterani, il National Park Service e alcune agenzie con sede a Washington DC. La proposta ha due obiettivi: da un lato venire incontro all’insoddisfazione e alle pressioni della stessa base repubblicana, che non ha gradito lo shutdown del governo; dall’altro offrire una sorta di compromesso a Obama e ai democratici, che dovrebbero a questo punto dirsi disponibili a concessioni in tema di sanità. La risposta è già arrivata. “La riforma sanitaria è qui per restare”, ha scandito Obama. Ironico, anche apertamente sarcastico, un altro democratico, Richard Durbin, secondo cui i repubblicani “sceglierebbero la loro agenzia favorita” per salvarla dalla serrata.

Oltre le polemiche, gli scontri e le manovre di parte, è comunque soprattutto il partito repubblicano a vivere uno tra i momenti più difficili della sua storia recente; una fase che secondo alcuni potrebbe influire sugli sviluppi futuri e sulla possibilità del G.O.P. di riprendere in mano il governo del Paese. Dilaniato da uno scontro interno che prosegue da settimane – tra moderati e conservatori, tra la vecchia leadership e i congressmen più vicini al Tea Party, tra quelli che guardano alle prossime presidenziali e quelli più sensibili alle richieste di stabilità della comunità finanziaria – il partito repubblicano non pare infatti in grado di trovare un compromesso solido. Da un lato vasti settori spingono per votare al più presto il budget, “perché siamo noi a essere considerati responsabili della serrata del governo”, come spiega Jeff Flake, repubblicano dell’Arizona. “I democratici hanno il totale controllo della situazione”, racconta Saxby Chambliss, e “la battaglia è stata bella, ma è ora di lasciar perdere”, secondo Scott Rigell.

Le voci di questi conservatori moderati partono da una considerazione semplice. La battaglia sulla sanità è impossibile da vincere. Casa Bianca e Senato, a maggioranza democratica, non saranno mai disponibili a introdurre modifiche a quello che è stato il raggiungimento legislativo più importante di tutta l’era Obama, l’Affordable Care Act; quindi, considerato che non c’è una maggioranza per cambiare o rinviare la riforma sanitaria, è del tutto controproducente cercare di affossare il budget e con esso interi settori dell’economia e della società Usa. Il “realismo” politico non è però ciò che altri settori repubblicani, quelli egemonizzati dalla parte più radicale, ideologica, vicina al Tea Party, sono disposti ad ascoltare. Ted Cruz e gli altri “falchi” repubblicani continuano a spingere per lo scontro duro, convinti che Obama prima o poi dovrà cedere e che la battaglia porterà importanti vantaggi elettorali. In mezzo, sinora, si è trovato lo speaker repubblicano della Camera John Boehner, che prima ha tentato di mediare tra le diverse anime ma che alla fine ha deciso di portare avanti le istanze più radicali. Proprio contro Boehner, nella giornata di martedì, si sono scatenate molte delle critiche dei democratici. Oltre ad aver ceduto ai falchi, a Boehner viene soprattutto rimproverata una cosa. Per sei mesi ha evitato qualsiasi trattativa sul budget, ben sapendo di non poter ottenere da Obama i tagli sperati a spesa e tasse. Nelle ultime ore, prima della serrata, si è detto disponibile alla trattativa ma legandola a qualcosa che i democratici non potranno mai accettare: la cancellazione dell’Affordable Care Act, la legge sulla sanità di Obama appunto.

Mentre la politica a Washington litiga, è sempre più forte nel Paese lo sconcerto, ma anche l’emozione e la delusione, per i tanti simboli del governo e della società americana chiusi per il blocco dei finanziamenti. Se Wall Street ha mostrato di andare tranquillamente per la sua strada (il Dow Jones ha guadagnato lo 0,41%, il Nasdaq l’1,23% e l’indice Standard & Poor’s 500 lo 0,8), per tutta la giornata le televisioni hanno mostrato immagini di transenne e cartelli che, da Washington a Los Angeles, da Atlanta al Maine, avvertivano della serrata delle attività federali. Simbolicamente ha fatto scalpore la chiusura ai visitatori della Statua della Libertà e la diffusione dei numeri degli impiegati federali rimasti a casa senza stipendio: 800 mila. Ma sono stati tanti gli episodi, piccoli e grandi, che hanno segnato il primo giorno di shutdown.

Ai veterani della seconda guerra mondiale è stato impedito in un primo tempo l’accesso al World War II Memorial di Washington, restato senza personale. Resisi conto della gaffe, una dozzina di deputati sono comparsi per portare personalmente in giro i vecchi soldati. E’ rimasto privo di turisti il Grand Canyon, senza impiegati l’ufficio per la sicurezza dei prodotti alimentari e gran parte della struttura della Nasa. Oscurata la cam che mostrava in diretta video il giovane panda appena nato al National Zoo di Washington, come pure gran parte delle attività sui social media del governo. In serata è stato annullata anche la recita al Ford Theatre di Washington, quello dove venne assassinato Abraham Lincoln.