Economia & Lobby

La verità sulla disoccupazione negli Stati Uniti

La fine del programma di stimolo monetario (Quantitative easing) della Federal Reserve americana, che tanti squilibri ha generato sia negli stessi Stati Uniti che nella maggior parte dei paesi emergenti, è stata condizionata al raggiungimento di un tasso di disoccupazione non superiore al 7%. Poiché ormai da alcuni mesi il tasso di disoccupazione negli Usa è stabilmente intorno a questo livello, la Fed ha appunto annunciato la riduzione del programma di stimolo, che dovrebbe iniziare nel mese di settembre per concludersi a metà 2014.

In effetti, i principali indicatori macroeconomici negli Usa sono positivi: il prodotto interno lordo sta crescendo in media del 2,7%, il mercato immobiliare è in netta ripresa ed i profitti aziendali battono stabilmente le stime degli analisti nel 75% dei casi.
Tutto bene quindi ? Non proprio, il metodo con il quale la Fed misura la disoccupazione negli Usa ricorda molto la favola del pollo di Trilussa.

Il tasso ufficiale è sceso al 7,3% però analizzando meglio i dati si scopre che :

Più in generale, si è visto che chi è senza lavoro da meno di 6 mesi ha buone possibilità di ricollocarsi, mentre per chi è fuori dal mercato del lavoro da 12 o più mesi le possibilità sono molto ridotte: si stima che oltre 7 milioni di persone abbiano smesso di cercare lavoro e, non a caso, i sussidi erogati dal governo Usa sono aumentati a quasi 9 milioni dai 7 milioni del 2007, anno di inizio della crisi, confermando così quanto sostengo da tempo e cioè che coloro che hanno perso il posto all’apice della crisi per le drastiche ristrutturazioni aziendali è destinato a restare disoccupato, realtà questa che riguarda anche i paesi europei, Italia in testa.

Il bilancio del programma di quantitative easing è da considerarsi quindi largamente fallimentare, avendo sì fatto ripartire l’economia americana ma al prezzo di squilibri sociali inaccettabili: solo nella città di New York lo scorso anno il numero dei disoccupati è salito del 25% a fronte però di un mercato borsistico che cresce a doppia cifra ormai da 4 anni.

Le maggiori banche Usa, artefici della crisi iniziata nel 2007 ed uniche vere beneficiarie della politica Fed, sentitamente ringraziano.