Società

Campionato universitario all’italiana

L’agenzia nazionale di valutazione dell’università (Anvur) e della ricerca ha appena pubblicato i risultati dell’esercizio di valutazione qualità della ricerca degli atenei italiani. Ne sono venute fuori classifiche di tutti i generi delle “migliori” università in questa o quella disciplina. Le classifiche sono semplici da capire: nessuno avrà alcuna difficoltà a sapere dove si produce ricerca di “eccellenza” in questo o quel settore e finalmente il legislatore avrà in mano una mappatura dei campi scientifici per capire dove riversare i “premi” e dove “punire”, tagliando fondi per evitare sprechi. E chi è contrario a immettere un po’ di “meritocrazia” nel sistema universitario? 

Purtroppo i metodi usati per valutare i ricercatori (e dunque gli stessi atenei) non trovano corrispondenza in altri paesi e le classifiche non solo non vengono fatte da altre agenzie analoghe ma… le classifiche date alla stampa dall’Anvur sono anche piuttosto diverse da quelle pubblicate nel rapporto della stessa agenzia. Andiamo con ordine.  

Dunque un sistema complesso come quello universitario è ridotto a essere una sorta di campionato di calcio in cui ci sono vincitori e vinti molto facilmente identificabili dalla semplice graduatoria in classifica. Ma è davvero così semplice valutare? E’ questo lo scopo della valutazione? In realtà valutare è un processo molto difficile da compiere e richiede competenze tecniche e sociali piuttosto raffinate. Non è un caso che in paesi, dove la valutazione è stata introdotta qualche decennio addietro, come l’Inghilterra, ci si guardi ben dal stilare classificheè ben noto che non hanno alcuna base scientifica. 

La ragione è che la “qualità” di un ateneo non può essere ridotta a una variabile unidimensionale calcolabile in maniera quantitativa semplicemente conteggiando quanti articoli sono stati scritti e quante citazioni hanno avuto, e dunque è necessario inquadrare il problema con una prospettiva che consideri la complessità del fenomeno scientifico e sociale che si sta considerando.  Se l’agenzia di valutazione vuole davvero introdurre “merito” e “eccellenza” nell’università non deve palesare un chiaro ritardo tecnico-scientifico rispetto alla letteratura internazionale e ad altre esperienze di valutazione compiute in altri paesi. Non solo l’uso di classifiche è inopportuno, ma la stessa maniera di classificare la “qualità” degli articoli scientifici secondo parametri bibliometrici (citazioni, fattori d’impatto, ecc.) è del tutto in controtendenza rispetto a quanto avviene nei paesi cui si fa riferimento quando si discute di merito e valutazione.

Dunque, oltre ad aver utilizzato dei metodi di valutazione che non trovano riscontri in altri paesi, oltre ad aver pubblicato classifiche di università, di dipartimenti e di discipline, cosa che pure è sconosciuta negli altri paesi dove sono stati fatti degli esercizi di valutazione “simili” a quello italiano, l’Anvur ha pure dato alla stampa delle classifiche diverse da quelle contenute nel (illeggibile ai più) rapporto finale, così che atenei che avevano già stappato bottiglie per festeggiare la promozione si ritrovano retrocessi. Quelli che invece sono stati messi alla gogna pubblica con il marchio del bollino rosso, magari si ritrovano un bel bollino verde di qualità, ma tanto il grande pubblico non lo saprà mai.

Come detto queste classifiche sono sbagliate e dannose e servono solo per influenzare l’opinione pubblica, come ad esempio gli studenti, per la scelta di un ateneo piuttosto che un altro.  Ma perché è stata fatta questa confusione? Com’è possibile che chi si fregia di immettere finalmente qualità e merito nell’accademia faccia dei pasticci del genere? E sono solo pasticci? Alberto Baccini al termine di un’analisi dettagliata dei documenti dell’Anvur pone delle domande, che qui riporto, a cui sarebbe necessario ottenere riposta:

1. Perché nel rapporto finale è stata adottata una classificazione dimensionale di università ed enti diversa da quella utilizzata per i comunicati stampa?
2. Se la classificazione “giusta” è quella del rapporto, non sarebbe opportuno inviare alla stampa una correzione delle classifiche diffuse con i comunicati stampa?
3. Se la classificazione “giusta” è quella del materiale per la stampa, non sarebbe opportuno rivedere il rapporto finale?

In ogni caso l’uso di tecniche di valutazione grossolane o sbagliate non solo può distorcere una corretta allocazione dei fondi e delle ma può indurre comportamenti opportunistici da parte dei ricercatori.   Lo scopo della valutazione del sistema universitario deve essere quello di acquisire informazioni utili per il miglioramento e non deve rappresentare uno strumento di natura punitiva che rischia di generare una pressione per migliorare dei parametri che, piuttosto che misurare la “qualità”, ne danno una rappresentazione caricaturale attraverso dei surrogati fuorvianti e screditati.