Cronaca

‘Tutta colpa dell’Afghanistan’: siate obbedienti e ben sbarbati

Speriamo sia un tipo paziente, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, capo di stato maggiore della Difesa, che porta una bianca e bella barba bianca. Altrimenti, chissà, potrebbe pensare a un’insubordinazione.  Strisciante e un po’ sotterranea, ma pur sempre un’insubordinazione. Perché nei giorni scorsi il generale di corpo d’armata Vincenzo Lops (che dell’ammiraglio è un subordinato) ha scritto una lettera per chiedere a tutti i militari del 2° Comando Forze di difesa il taglio di barbe e pizzetti. Capiamoci, non sono due gatti questi militari. Diciamo ventimila, distribuiti in tutto il sud Italia

Sia chiaro, Lops non dà un ordine. Non ci sono più i generali di una volta e la moral suasion sembra più di moda di un tintinnar di speroni e un batter di tacchi. D’altronde non lo potrebbe dare, l’ordine (a parte il dettaglio di Binelli Mantelli che s’incazzerebbe), perché ci sono fior di regolamenti che spiegano come i militari possano portare la barba: “barba e baffi devono essere ben tagliati, ordinati e di lunghezza non eccessiva e sproporzionata” (Regolamento sulle uniformi, pubblicazione 6566 dello Stato maggiore Esercito, capitolo 6, paragrafo 2, punto b).

Dunque il nostro usa argomenti soft. Sa anche che rischia per lo meno l’ironia («consapevole di scendere in campo in prima persona con un possibile rischio di incomprensione!»), ma mentre annuncia questo pericolo, nel ridicolo si mette da solo aggiungendo «ma un Comandante, un vero Comandante, come lo intendo io deve sapere osare, affrontando scientemente i possibili rischi, e deve potere chiedere ai suoi uomini ogni cosa, senza alcun timore, perché alla base delle decisioni esiste sempre sia la completa onestà di intenti di quel Comandante sia la piena convinzione del valore e dell’accettazione del personale tutto». Poffarbacco, signor generale – Signor Generale scriverebbero i military – non è mica a Balaklava, dove Into the valley of Death Rode/the six hundred, come raccontò Tennyson nella sua The Charge of the Light Brigade. Anzi, a Balaklava morì anche un italiano pochi mesi dopo la carica degli inglesi. Era il generale Alessandro La Marmora. Ma non ebbe una morte granché gloriosa, ucciso come fu dal colera.

E cosa dovrebbe dire il La Marmora di questa open letter di Lops? Lui che fu un bersagliere, anzi il primo perché li inventò. Come lo è anche Lops, un bersagliere. Dove finirebbero gli orgogliosi baffi e pizzo alla Vittorio Emanuele del piemontesissimo generale se fosse esistito un Lops ai suoi tempi? E dove scomparirebbero gli orgogliosi ornamenti del mento di un Cesare Battisti, tenente del battaglione alpini Vicenza, medaglia d’oro al valor militare, impiccato al Castello del Buon Consiglio di Trento. Anche lui portava baffi e pizzo risorgimentale.

Ma torniamo alla missiva di Lops. Che evidentemente si commuove facilmente di fonte alle battaglie che non ha mai potuto combattere quando intona «che non va legata (la barba n.d.r.) quindi a mere formalità estetiche, perché questo ci riporterebbe indietro nel tempo, ma che va vista nell’ottica di dimostrare la piena condivisione della compagine del 2° Fod, unita e decisa, come quelle schiere di valorosi guerrieri che, fiduciosi del proprio capo, ne accettano ciecamente ogni ordine, proprio perché lo chiede il loro Comandante».

Valorosi guerrieri fiduciosi del proprio capo che ne accettano ogni ordine. Ma ci fa o ci è? Evidentemente nel suo ufficio di San Giorgio a Cremano il baffuto Lops (ebbene sì, il generale porta dei baffoni bianchi, ma niente barba) generale Vincenzo si annoia e allora si addestra con qualche plastico a ricreare le belle gesta di altri tempi. Perché forse solo i soldatini oggi possono essere valorosi guerrieri fiduciosi del proprio capo. Chissà se si è commosso scrivendo queste righe? Io penso di sì.

In un tentativo di dare un inquadramento sociologico al suo articolare il bersagliere Lops (immagino che, mentre vergava la lettera, avrà indossato la vaira con le sue belle penne) azzarda una spiegazione sul perché oggi tanti militari sono barbuti. Colpa dell’Afghanistan. Udite: «una maggiore attenzione modaiola ed i recenti impegni in Afghanistan hanno rivalutato la barba che sembra essere diventata un “must” …. Sembra quasi che per dare spazio alle dinamiche antropologiche locali si sia perso il Dna della nostra militarità in merito alla barba». Azz, signor tenente. Però oltre alla sociologia, in fondo in fondo, si intravvede una donna: non fatevi condizionare «da quanto, a volte, le mogli e le fidanzate forse pretendono affettivamente». Certo esclude, il Lops, che ci possa essere qualche soldato gay, non sarebbe affatto marziale.

Caro generale, perché invece di scrivere questa letterina non si è fatto una bella corsetta in cortile al ritmo del Flik e Flok? Si sarebbe divertito di più. E ricordi quello che scrisse Bertold Brecht: Generale, l’uomo fa di tutto/Può volare e può uccidere./Ma ha un difetto/può pensare.