Ambiente & Veleni

Abbiategrasso, giù le mani dal Pagiannunz!

pagiannunz

Ad Abbiategrasso, nel Parco del Ticino, l’uomo e la politica si erano dimenticati di una bella fetta di terra. Grande quasi 5 ettari.

Una fetta di terra adiacente ad un’area industriale oggi dismessa, la Siltal, quella delle lavatrici e delle storiche pentole smaltate. Un fetta di terra che è il potenziale giardino di un complesso monumentale di importanza storica e sociale: il Convento dell’Annunziata. Una fetta di terra, che purtroppo è anche molto strategica, sita all’ingresso della città, tangente a circonvallazioni, provinciali e statali, e che ha una supposta forte vocazione edificatoria, grazie ai progetti autostradali rigorosamente bipartisan, voluti dal Formigonismo e dal Penatismo.

Insomma, un bel ‘bocconcino’ per il partito del cemento. Tant’è che il Piano Regolatore su quella fetta di terra prevedeva, e prevede tutt’ora, cemento, centri commerciali e palazzi. Ancora centri commerciali e palazzi.

Accattivanti i rendering a colori srotolati sui tavoli delle giunte municipali. Precise e perfette le ombre degli alberelli sui viali e sui posti auto dei parcheggi in autobloccanti. Diverse le suggestioni avveniristiche finora tenute dormienti nei cassetti.

Ma su quella stessa fetta di terra pregiata la natura non è rimasta ferma in questi anni. Ed ignara della sua destinazione urbanistica e dei sogni di aspiranti grandi distributori organizzati, la natura se l’è presa. E con la complicità di una roggia “pazzerella”,ed anch’essa dimenticata, la natura l’ha trasformata in una splendida zona umida oggi chiamata Pagiannunz, ovvero il Parco Giardino dell’Annunziata.

Varie specie di uccelli, rettili, anfibi e mammiferi vi hanno preso la residenza, senza chiedere all’ufficio tecnico alcun permesso di abitare, senza pagare alla proprietà alcuna indennità di occupazione.

Il Pagiannunz è cresciuto stagione dopo stagione. È diventato luogo di vita, di riproduzione e di passaggio di tritoni crestatiramarri occidentali, rospi smeraldini, orbettini, biacchi, natrici dal collare, raganelle. Al Pagiannunz è facile incontrare anche volpi, germani reali, gallinelle d’acqua, cavalieri d’Italia, garzette, aironi, barbagianni. Insomma, il Pagiannunz, radicatosi laddove l’uomo aveva immaginato colate di calcestruzzo, è diventato una culla della biodiversità.

Una culla di biodiversità che ha trovato nell’ultimo anno anche dei custodi: gli attivisti del Comitato per la Difesa del Territorio Abbiatense. Custodi che hanno fatto crescere la consapevolezza degli abbiatensi per quel luogo che fino a ieri tutti osservavano distrattamente, tutti (o meglio quasi tutti) certi che prima o poi si sarebbe alzata la classica rete arancione da cantiere e che prima o poi su nuovi capannoni o condomini avrebbe fatto la comparsa il classico cartello affittasi.

In questi mesi, sulla scia della battaglia per la difesa di un’altra fetta di terra lì vicino, il Comitato ha raccolto migliaia di firme, ha informato gli abbiatensi con banchetti, ha sostenuto la candidatura del Pagiannunz come luogo del cuore FAI, ha studiato carte, ha coinvolto bambini, ha prodotto relazioni e documentazione, ed alla fine ha “di fatto” creato tutte le premesse per imprimere sul Pagiannuz un bel vincolo. Ai sensi delle Direttive Europee “Habitat” e “Uccelli” e delle leggi regionali poste a tutela e conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea.

Da qualche mese, però, il Partito del Cemento si è ricordato del bocconcino succulento. Ed ha ripreso a cogitare. A tentare di devastare l’area. A portare avanti il proprio progetto: l’ennesimo centro commerciale.

E allora carte bollate, ordinanze, petizioni, cortei e pedalate… È partita l’ennesima vertenza del nostro paese. Comitati, associazioni e cittadini schierati per difendere il territorio.

Da una parte i diritti edificatori e la rendita. Dall’altra il diritto delle persone al territorio non cementificato, il diritto di altri esseri viventi al loro “habitat” naturale. Una vertenza che mette la politica locale, ma anche quella regionale e nazionale, di fronte ad una scelta: proseguire sulla superstrada del supersviluppo a base di espansioni urbanistiche, che ormai mostra tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, anche economiche, oppure prendere la prima uscita e mettersi su un viottolo più stretto?

Ha senso, ad Abbiategrasso come in ogni altra città d’Italia, costruire ancora centri commerciali, outlet, capannoni, condomini, visto che abbiamo un enorme stock di immobili vuoti ed invenduti? Ha senso sacrificare sull’altare di questo modello decotto e fallito qualcosa di non rinnovabile come la terra? Ha senso sterminare campi (perché come ci ricordava il compianto poeta Andrea Zanzotto, di sterminio si tratta), fauna e flora, per fare spazio ad inutili scatoloni prefabbricati?

​No, non ha senso. E ad Abbiategrasso la battaglia per il Pagiannunz si sta trasformado da vertenza ambientalista in movimento civico dal basso. Un movimento che non chiede solo di tutelare il Pagiannunz, ma che pretende il cambio radicale di modello. Un movimento che contagia della propria consapevolezza un numero sempre maggiore di abitanti. Abitanti che se fino a ieri osservavano distratti quella fetta di terra e passavano veloci, oggi si fermano e osservano quel paesaggio così diverso dalla schiera di tapparelle abbassate di centinaia di case vuote dal susseguirsi monotono di striscioni “svuota tutto” e “affittasi” sui capannoni appena costruiti su terreni fertili. E si chiedono se è davvero intelligente questo comportamento. È davvero Homo Sapiens chi distrugge la natura, il creato, l’ambiente in cui vivranno i propri figli? È davvero etico continuare a fare finta di niente?
La politica se vuole davvero cambiare (in meglio) deve decidere di seguire la via scomoda. E nel concreto, ad Abbiategrasso, ma anche a Milano e a Roma, la via scomoda conduce al rivoltamento del Piano Regolatore. Facendo il contrario di quello ben rappresentato dal capolavoro di Rosi “Le mani sulla città”.

Un rivoltamento fatto seguendo la nuova e “bella” giurisprudenza che dice chiaramente che non esistono vocazioni edificatorie di suoli non ancora edificati e che afferma limpidamente che la pianificazione urbanistica va condotta in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, dei valori ambientali e paesaggistici e delle esigenze di tutela della salute.

Un rivoltamento fatto in funzione dei tritoni crestati, dei germani reali, delle gallinelle d’acqua, dei barbagianni e degli homo sapiens che vivono un territorio, abbandonando il sogno dello sviluppo purchessia e delle logiche perverse che gli fanno da corollario.

È solo questione di volontà politica.

È solo questione di decidersi a seguire le raganelle sovversive del Pagiannunz…

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Per saperne di più visitate il sito del Pagiannunz.

Per i cultori del diritto edificatorio qui e qui due sentenze del Consiglio di Stato.

Per chi vuole condividere la lotta, l’appuntamento è per domenica 7 luglio, al presidio festoso