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Egitto, il paradosso dell’esercito da guardiano del regime a opposizione

L'ultimatum di 48 ore al presidente Morsi riporta le Forze armate al centro della vita politica del Paese. Prima nell'ombra a guardare gli insuccessi del primo anno di governo guidato dai Fratelli musulmani, poi mediatori tra l'attuale governo e il Fronte di salvezza nazionale, per alcuni analisti "potrebbero stare al potere per un breve periodo e favorire un dialogo nazionale”

La dichiarazione del capo del Consiglio militare supremo, il generale Abdel-Fattah El Sisi, che impone un ultimatum di 48 ore al presidente Morsi per trovare una soluzione alla crisi politica egiziana, riporta alla ribalta l’esercito nella vita politica del Paese. Da un anno a questa parte i militari, e in particolare da agosto 2012 quando il capo di stato islamista mandò in pensione il federmaresciallo Hussein Tantawi, erano rimasti nell’ombra a guardare gli insuccessi del primo anno di governo guidato dai Fratelli musulmani. Una mossa che sorprende l’opinione pubblica egiziana. Infatti, sino a ieri, il loro intervento, alla luce anche delle dichiarazioni moderate fatte prima delle manifestazioni del 30 giugno, sembrava vincolato solo ed esclusivamente a ristabilire l’ordine del Paese nel caso di una grave ondata di violenza.

Ma i cortei che hanno portato, secondo l’opposizione, 17 milioni di persone per le strade egiziane sono stati relativamente pacifici con l’eccezione degli scontri avvenuti al quartier generale dei Fratelli musulmani al Cairo e in altre città come Assiut e Beni Sueif che hanno causato 16 morti e centinaia di feriti. Un bilancio relativamente grave che sembra non giustificare tanta tempestività. Le dichiarazioni dell’esercito, inoltre, restano molto nebulose. Non è chiaro, infatti, quali siano i contenuti della loro road map annunciata ieri e nemmeno quali azioni intendano prendere nel caso nessuna soluzione venga raggiunta nei termini imposti.

Ciò che è certo è che l’opposizione ha accolto con esultanza le parole di El Sisi. Piazza Tahrir, in occupazione da giorni, è esplosa in un boato di gioia mentre anche i Tamarrod, il gruppo che ha raccolto 22 milioni di firme per chiedere le dimissioni di Morsi, hanno espresso soddisfazione. Un entusiasmo che può sembrare un paradosso visto che il Consiglio militare supremo ha guidato i primi 16 mesi della transizione post Mubarak ripentendo le stesse atrocità del regime precedente. Sotto il suo governo numerose manifestazioni di piazza sono state represse nel sangue, causando circa 200 morti, tra gli episodi più gravi il corteo di Maspero nell’ottobre del 2011 e i giorni della rivolta di Mohammed Mahmoud nel novembre dello stesso anno.

Per il momento però sembra che una buona parte dei manifestanti, che già giorni fa con canti e slogan avevano caldeggiato il ritorno dei militari, non veda altre alternative. “Con i manifestanti Tahrir non si governa – dice Ahmed che da subito è in sit in nella storica piazza della rivoluzione – l’unica soluzione valida in questo momento è l’esercito”. Il vuoto politico è stato causato anche dai ripetuti errori dell’opposizione laica, rappresentata dal Fronte di salvezza nazionale e dal suo capo Mohammed El Baradei, che in più di due anni non è riuscita a creare una coalizione compatta e un leader in grado di raccogliere un elevato consenso, lasciando così senza rappresentanza politica gli attivisti di piazza e una consistente parte di elettori moderati. Lo stesso Hamdeen Sabbahi, altro leader del Fsn ed ex candidato alle presidenziali, ha chiesto l’intervento dei militari nel caso Morsi si rifiutasse di lasciare il potere.

Nonostante il nuovo capo del consiglio militare sia, a differenza del suo predecessore Tantawi, più carismatico e moderato, secondo molti analisti, un ritorno dell’esercito al potere potrebbe riportare le lancette dell’orologio indietro al febbraio del 2011. C’è anche però chi prospetta una nuova opzione, ossia che El Sisi potrebbe vestire i panni del mediatore imparziale e portare a nuove elezioni in poco tempo, soluzione anche auspicata nella road map dei Tamarrod. “I militari potrebbero stare al potere per un breve periodo e favorire un dialogo nazionale che porti fuori il Paese dall’impasse politica” dice all’Afp Hassan Nafaa, docente di scienze politiche alla Cairo University.

Lo scenario, dunque, resta più incerto che mai, il presidente Morsi, che per il momento è stato esautorato sia dall’esercito che dalla maggioranza degli egiziani, ha pochissime chance di ribaltare a suo vantaggio la situazione. Il destino del primo governo eletto democraticamente nella storia egiziana sembra avere le ore contate.