Economia & Lobby

Energia, l’eolico serve 5,2 milioni di famiglie. Con piccoli produttori penalizzati

Gli operatori del settore sono in allarme: nei prossimi anni le nuove installazioni potrebbero tornare ai livelli di dieci anni fa. Sul banco degli imputati il sistema delle aste al massimo ribasso, il meccanismo di incentivazione figlio del decreto legislativo messo a punto da Paolo Romani, ministro dello Sviluppo economico dell’ultimo governo Berlusconi

Nel 2012 le pale eoliche hanno soddisfatto il fabbisogno di energia elettrica di oltre 5,2 milioni di famiglie italiane, con una produzione in crescita del 34,2% rispetto al 2011. Ovvero 8.700 megawatt di potenza installata, 13,1 TWh (terawattora), pari al 4,6% dell’energia totale prodotta in Italia. E’ questa la fotografia più recente del settore eolico in Italia scattata da un rapporto di Legambiente in collaborazione con il GSE (Gestore Servizi Energetici). La potenza installata nell’energia del vento è in crescita continua dal 2002, ma gli operatori del settore sono in allarme: nei prossimi anni le nuove installazioni potrebbero tornare ai livelli di dieci anni fa.

Sul banco degli imputati il sistema delle aste al massimo ribasso (per gli impianti sopra i 5 MW), il nuovo meccanismo di incentivazione figlio del decreto legislativo messo a punto da Paolo Romani, ministro dello Sviluppo economico dell’ultimo governo Berlusconi. “Siamo passati dai certificati verdi, che garantivano una remunerazione certa e generosa dell’energia prodotta, alla partecipazione ad aste competitive, nelle quali gli operatori offrono uno sconto minimo del 2% rispetto al prezzo fissato in asta e, nel caso riescano ad aggiudicarsi gli incentivi, si vincolano allo stesso prezzo per vent’anni”, spiega al Fatto quotidiano.it Carlo Durante, managing partner di eLeMeNS, società di consulenza sui mercati delle rinnovabili.

Il decreto ministeriale (varato nel 2012 dal governo Monti) fissa in 500 MW il contingente annuo incentivabile e richiede a chi presenta offerte in asta garanzie bancarie di 122.500 euro per ogni MW che si intende installare. Un ostacolo insormontabile per la maggior parte delle piccole e medie imprese dell’eolico. Se poi si verificano ritardi nella realizzazione dei progetti – eventualità molto frequente in Italia a causa di ricorsi e intoppi burocratici – c’è il rischio che la tariffa incentivante venga progressivamente abbassata, rendendo molti progetti insostenibili dal punto di vista finanziario. Non è un caso che il sistema delle aste sia stato criticato da subito dalle principali associazioni di categoria del settore come Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento) e Aper (Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili).

La prima asta, che si è chiusa a dicembre del 2012, ha confermato la fondatezza delle critiche: a fronte dei 500 MW offerti – pari a meno della metà della potenza installata nel 2012 – sono arrivate 18 domande per soli 442 MW, con sconti dal 2,50% al 24,41% sul prezzo di partenza. Si sono aggiudicati gli incentivi soprattutto i grandi nomi internazionali dell’energia: la portoghese EDP, le spagnole Gamesa ed Ecoener, Enel Green Power ed Erg oltre a una serie di Srl controllate da holding, fiduciarie e grandi famiglie, come la Toto Holding di Carlo Toto o il Gruppo Kinexia di Pietro Colucci. Probabilmente l’effetto “prima volta” ha spinto molti operatori a una scelta attendista. Buona parte degli addetti ai lavori si aspetta infatti un incremento del numero di domande nell’asta che si è chiusa lunedì 10, ipotizzando una copertura totale del contingente.

Rimane comunque la sensazione che il sistema, per funzionare, abbia bisogno di modifiche sostanziali. “Se uno fissa un contingente massimo, è ridicolo porre barriere d’accesso così rigide. La logica di mercato vorrebbe infatti che il sistema incentivasse gli operatori a partecipare, per rendere più efficienti i progetti”, ha commentato Simone Togni, presidente di Anev. Analisi condivisa anche dai ricercatori dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano che, nel recente Rapporto sulle Rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, ammettono: “Le ingenti garanzie hanno senz’altro precluso la possibilità di iscriversi a numerosissimi soggetti”. Tanto da prevedere, per i prossimi tre anni, una contrazione del settore: il valore dell’installato annuo tornerà ai livelli del 2005.

Concentrare l’eolico italiano in poche mani significa anche cancellare dal panorama industriale le tante realtà minori che hanno finora spinto lo sviluppo del settore, spesso presentando progetti innovativi ed efficaci. “Le aste agevolano i grandi concorrenti perché hanno costi minori e possono lavorare con margini di guadagno per Megawatt più bassi”, spiega Cosetta Viganò, responsabile dell’ufficio tecnico di APER, associazione che riunisce i produttori di rinnovabili. “I piccoli sono disincentivati. Se hanno buoni progetti possono sempre partecipare ma se propongono ribassi troppo alti rispetto alla base d’asta non stanno in piedi”. Ad aiutare i big c’è anche la crisi del credito. “Edp, Enel, Edison, sono soggetti molto grandi e non hanno bisogno di ricorrere al project financing per sviluppare i loro programmi”, osserva Togni. “Possono contare su linee di credito e fondi propri significativi. Su un progetto di vent’anni questo influisce molto sui costi finali di produzione. E quindi potranno sempre permettersi di fare offerte con ribassi maggiori”.

Il sistema delle aste non sarebbe però completamente da buttare. Sia perché consente allo Stato di risparmiare in modo consistente sugli incentivi, sia perché costringe gli operatori a una maggiore efficienza, concentrandosi sui progetti a più alta redditività e calcolando in modo più accurato i costi e i benefici di ogni futuro impianto. “Alla fine vince chi è organizzato meglio, chi sa giocarsi i progetti migliori lavorando di fino”, spiega Carlo Durante di eLeMeNS. “Nella prima asta il timore di non accedere agli incentivi ha spinto gli operatori a dichiarare in molti casi i loro reali costi e le aspettative minime di remunerazione, procurando un risparmio per il sistema vicino ai 200 milioni di euro in 20 anni rispetto a quanto si sarebbe speso con una tariffa fissa pari al valore base d’asta”.

Se il nuovo sistema – magari con opportune correzioni nei requisiti di ingresso – potrà stare in piedi lo scopriremo tra un paio di settimane, quando il GSE renderà pubblici i risultati dell’asta che è chiusa lunedì. Se, contrariamente alle attese, si verificherà un nuovo flop, per le aste potrebbe essere l’inizio della fine.

di Mauro Meggiolaro e Emanuele Isonio