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Valute virtuali, chiusa Liberty Reserve: “Riciclaggio per sei miliardi di dollari”

Il Dipartimento di Giustizia americano ha deciso la fine delle attività per la banca digitale di Arthur Budovsky, che garantiva l'anonimato ai suoi correntisti. Tra i "migliori" clienti, trafficanti di carte di credito clonate, truffatori, hacker al soldo della malavita e killer professionisti

Il lupo perde il pelo ma non il vizio: Arthur Budovsky ha rinunciato perfino alla cittadinanza americana e ha piantato le tende nell’accogliente paradiso fiscale del Costa Rica. Ma il vizio delle valute virtuali questa volta lo ha portato dietro le sbarre: dopo E-Gold nel 2009, la sua banca digitale Liberty Reserve è stata chiusa dal Dipartimento di Giustizia americano. L’accusa? Un giro di riciclaggio da sei miliardi di dollari, 55 milioni di transazioni anonime in sette anni di attività. Il punto di forza dell’offerta di Budovsky? L’anonimato, qualcosa che le banche normali non possono offrire e di cui la criminalità organizzata, fino ad oggi, non poteva godere così facilmente.

Per un conto corrente su Liberty Reserve bastava una mail con un nome e una data di nascita. I controlli sembra non fossero particolarmente stringenti. Si poteva aprire una posizione come Joe Bogus (Joe Finto), dichiarando di aver bisogno del conto “per la coca” e di abitare al numero 123 di Fake Street (Via Falsa). Tra i migliori clienti della banca virtuale: trafficanti di carte di credito clonate e di registri di dati personali, truffatori, hacker al soldo della malavita, casinò illegali, dettaglianti di stupefacenti come quelli attivi sul sito Silk Road, killer professionisti. Con il sequestro, tutti i fondi depositati su Liberty Reserve sono stati bloccati: la domanda, ora, è quanti potessero essere questi soldi ma soprattutto quanti dei clienti avranno le carte in regola per andare a reclamare l’accesso alla piattaforma per prelevare i depositi. L’accusa per Budovski, oltre al riciclaggio, è di aver gestito un sistema di trasferimenti di valuta senza le necessarie autorizzazioni che richiedono l’identificazione dei clienti attivi.

Liberty Reserve segue l’altra famosa valuta virtuale BitCoin, che ha fatto notizia nelle scorse settimane quando il Dipartimento del Tesoro americano ha bloccato i conti del suo più grosso operatore di cambio, Mt. Gox. Da marzo gli Stati Uniti hanno regolamentato l’attività di queste piattaforme digitali prevedendo la registrazione obbligatoria al registro del Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN). E proprio in occasione del sequestro di Liberty Reserve, è stata annunciata la formazione di una Financial Intelligence Unit, unità destinata a lavorare in tandem con Fbi, Agenzia delle entrate IRS e servizi segreti per analizzare le enormi quantità di dati che le tecnologie digitali mettono a disposizione delle forze dell’ordine. Ma la regolamentazione delle valute virtuali potrebbe avere, paradossalmente, solo effetti locali: WebMoney e Perfect Money, concorrenti di Liberty Reserve e BitCoin, hanno annunciato la chiusura a nuovi clienti statunitensi, soggetti pericolosi che potrebbero richiamare l’occhio vigile delle autorità americane.

Nel resto del mondo invece, il far west bancario non sembra ancora sull’agenda corrente di governo. Chi sostiene il mondo che ruota attorno alle valute libere, urla all’attacco contro la libertà di sganciarsi dal sistema finanziario istituzionale. In verità si tratta di regole cui si sono adeguati anche Paypal e Square. E lo stesso Gavin Andressen, voce di BitCoin, ha dichiarato: “Se il governo americano decidesse che BitCoin non va bene e mi dicesse di smettere, io smetterei”. Gli fa eco Patrick Murck di BitCoin Foundation, spiegando che il caso Liberty Foundation spingerà il sistema BitCoin verso una normalizzazione. Un’affermazione che potrebbe lasciare insoddisfatti gli osservatori più radicali, ma che apre prospettive molto interessanti. Sembra infatti che la partita delle monete digitali sia ancora aperta, e che le notizie di oggi possano essere solo l’avvisaglia di un futuro in cui sistemi come questi saranno qualcosa di normale anche per il cittadino medio. E con commissioni così alte per le transazioni su cui si regge Internet – ovvero quelle con carte di credito – abbonda lo spazio di mercato per sistemi più economici, tanto che qualcuno inizia a chiedersi quando le banche tradizionali vorranno essere della partita. Magari con l’acquisizione di una delle tante startup che lavorano nella Silicon Valley a sistemi bancari alternativi.