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Presidenzialismo, il Pd si spacca: Prodi dà l’ok, mezzo partito no

I destini delle riforme istituzionali si intrecciano anche con le strategie congressuali. Neanche il sistema alla francese convince tutti, perché Rosy Bindi e i Giovani Turchi dicono di no. Finocchiaro: "Prima il conflitto d'interessi". Tutto resta nelle mani di Epifani. Ma è difficile credere in una decisione netta

Basta che Angelino Alfano lanci in pista il presidenzialismo per farlo deflagrare addosso allo stato maggiore del Pd oscurando i sorrisi dovuti alle elezioni amministrative. “Il presidenzialismo che rompe” titola infatti l’Unità contestando in primo luogo il fatto che divida il partito. Ma se il segretario del Pdl può giocare la carta presidenzialista è precisamente perché nel Partito Democratico sul tema della presidenza della Repubblica e della possibile riforma presidenziale si sono tornate a agitare le ombre della vecchia guardia: da Massimo D’Alema a Walter Veltroni a Romano Prodi, variamente indaffarati ancora a combattersi.

L’apertura di Prodi
A rimettere il pista l’ipotesi presidenziale è stato proprio il Professore. In un editoriale sul Messaggero di qualche giorno fa Prodi non solo si è dichiarato favorevole al sistema semipresidenziale alla francese, ma ha aggiunto di ritenere che “sia l’unica via di salvezza per un Paese che, come l’Italia, ha bisogno di prendere decisioni necessarie per farla uscire dalla ormai troppo lunga paralisi”.

All’apertura del professore si è rapidamente allineato il presidente del consiglio Enrico Letta, che al festival dell’economia di Trento sabato ha dichiarato: “Non possiamo eleggere il presidente della repubblica con le modalità dell’ultima volta”. Parole che hanno subito suscitato il dibattito interno a un partito democratico, stretto com’è nel paradosso per cui da un lato si deve ancora dar vita alla segreteria di Guglielmo Epifani e dall’altro si guarda invece a nuovi assetti congressuali e anche al dopo Letta.

Ma è proprio con lo sguardo al futuro che vanno intese le mosse di Prodi. E non solo le sue. Da diverse settimane ormai nel Pd si accredita l’ipotesi di un accordo tra Massimo D’Alema e Matteo Renzi inteso a dar strada alla corsa del sindaco alla premiership in cambio della presidenza della repubblica per D’Alema. D’altronde il sindaco tutto vuole tranne che impegnarsi in prima persona nel partito, e questo piace anche alla componente post pds che spera così di mantenere il controllo della baracca. Malizie, ovviamente. Ma non infondate. Come non è infondato che Veltroni si sia subito messo in moto contro questo disegno. L’ex sindaco di Roma, infatti, ha rilanciato la candidatura alla segreteria di Sergio Chiamparino in modo da accreditarsi burattinaio dell’eventuale ticket composto da Renzi per il governo e Chiamparino per il partito. Un modo anche di tagliare la strada all’eventuale intesa tra Renzi e D’Alema. E in questo quadro non si può non credere che nell’apertura di Prodi al presidenzialismo ci siano anche riflessi del passato. L’elezione diretta, infatti, è la sola via interdetta all’impopolarità di D’Alema per raggiungere il Quirinale. Senza contare che, per contro, Prodi sicuramente avrebbe più possibilità di salire sul colle con l’elezione diretta piuttosto che fidandosi dei parlamentari.

Partito diviso
Stante questa complicata situazione interna al Pd, l’ipotesi presidenziale potrebbe mischiare ulteriormente le carte. A favore del modello francese, insieme a Prodi e al premier Letta, sono per l’appunto Veltroni e Renzi. Ma anche D’Alema a suo tempo, ai tempi della Bicamerale, guardava con favore al presidenzialismo corredato dal doppio turno, ambedue alla francese. E questa è infatti l’ipotesi che rilancia il dalemiano Nicola Latorre. D’altronde ha ben d’onde il costituzionalista Stefano Ceccanti a osservare, in un’intervista al Mattino, che il problema complessivo delle riforme è uno solo: “Il Pd deve digerire l’elezione diretta e il Pdl fa fatica a accettare il doppio turno. Tutto lì. Non c’è altro”. Difatti il ministro per i rapporti col parlamento, uno dei numi della segreteria Epifani insieme a Letta e Bersani, propone piuttosto al Messaggero di approvare subito la riforma elettorale. Mentre Anna Finocchiaro dice all’Unità di fare “subito il conflitto di interessi per parlare di semipresidenzialismo”.

Espressamente contraria alla prospettiva francese Rosy Bindi: “Pensare che i problemi del partito si possano risolvere cambiando la Costituzione mi pare francamente troppo”, dice l”esponente Pd che potrebbe presentare un documento già nella direzione di domani. Netti anche i Giovani Turchi: “Non si può sostenere che abbiamo la costituzione più bella del mondo e poi proporre di stravolgerla”, sostiene in un tweet Matteo Orfini, secondo cui il sistema francese non è una riforma bensì “un’altra costituzione”. Mentre da Bologna la sinistra di Sel e della società civile (Rodotà) dichiara il proprio no a revisioni costituzionali in senso presidenziale. Ipotesi condivisa da Repubblica che mette in guardia con l’intervista a Vendola e con l’editoriale di Ezio Mauro circa l’idea di una “scorciatoia” presidenzialista per risolvere i problemi messi in luce dal Pd durante le votazioni per il Quirinale.

Starà al segretario Epifani, anch’egli favorevole al modello francese, decidere se far deflagrare la questione già nel corso della direzione che domani dovrebbe finalmente metterlo in grado di lavorare affiancato da una segreteria. Forse il segretario cercherà di glissare. Per quanto il problema del Pd sia che anche il presidenzialismo si intreccia con i propri destini.