Cronaca

Rogo Thyssen, i giudici d’appello: “L’ad fu imprudente”, ma non ci fu dolo

Depositate le motivazioni della sentenza che ha ridotto da 16 a 10 anni la pena per Espenhahn. "Non può aver agito in modo così irrazionale". Per la corte, previde il rischio, ma "valutò" che non si sarebbe verificato. Nessuna negligenza nell'intervento degli operai, a cui era stato vietato di "chiamare i vigili del fuoco" e affrontarono le fiamme con strumenti inadeguati. Nell'incendio del 2007 morirono 7 lavoratori. Il legale del top manager annuncia ricorso in Cassazione

Harald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp, “sapeva che la linea di ricottura e decapaggio fosse a rischio incendio” ma “non può avere agito in modo tanto irrazionale”. Insomma, agì “con imprudenza“, ma non con il “dolo eventuale” contestato dal procuratore Raffaele Guariniello per l’incendio nell’acciaieria torinese che, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, uccise sette operai. Così la Corte d’assise d’appello del capolouogo piemontese motiva la riduzione della condanna nei suoi confronti da 16 anni e mezzo a 10 anni, e le condanne di altri cinque imputati.

Le motivazioni della sentenza dello scorso 28 febbraio, 346 pagine, sono state depositate stamattina. Secondo il collegio presieduto da Giangiacomo Sandrelli, “per un imputato come Espenhahn, imprenditore esperto, abituato a ponderare le proprie decisioni nel tempo, anche confrontandosi con altri collaboratori specializzati, è impensabile che egli abbia agito in maniera tanto irrazionale”. E’ questo il passaggio fondamentale che ha portato alla derubricazione del reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo con colpa cosciente, con la conseguente riduzione della pena. Il fatto che abbia valutato la possibilità di un incidente “non significa affatto – scrivono i giudici – che Espenhahn (e anche gli altri imputati) non previdero gli eventi come possibili, ma solo che essi fecero prevalere le loro personali valutazioni che essi non si sarebbero verificati, nonostante tutti gli avvisi, gli allarmi che avevano ricevuto e che avevano loro indicato chiaramente il contrario”.

Gli imputati, in sostanza, “agirono nella convinzione che gli eventi sarebbero stati evitati”. Con Espenhahn, la Corte aveva condannato i dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci a sette anni di carcere, il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno e il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri a otto anni, e aveva ridotto a nove anni la pena per l’altro dirigente Daniele Moroni. Tutti i sei imputati “devono essere ritenuti responsabili dei reati di omicidio colposo plurimo e incendio colposo aggravati dalla previsione degli eventi”.

Nessuna colpa, invece, grava sugli operai coinvolti nell’incendio di quella notte, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori dei dirigenti Thyssen durante il processo: “Gli operai non compirono nulla di anomalo, ma anzi applicarono (o tentarono di applicare) alla lettera il Piano di emergenza”, si legge ancora nelle motivazioni. Gli operai “non fecero che dare attuazione al Piano di Emergenza che era stato loro imposto (senza alcuna formazione e informazione dei rischi specifici)”. Questo “esclude totalmente che il loro comportamento possa essere qualificato imprudente, imprevedibile, imprevisto: esso era proprio quello che ci si aspettava che essi facessero, ignari che il vero pericolo per loro non era costituito dalle fiamme cui si avvicinavano, ma dall’innescarsi improvviso di una nuvola incandescente che li avrebbe avviluppati senza scampo”.

Dunque, ragionano i giudici, quegli operai furono degli eroi: “C’è qui da condividere il giudizio di eroismo che è stato espresso dalla prima Corte nei loro confronti, sottolineando come era diventato assolutamente normale che persone, ignare dei veri rischi e senza alcuna formazione anticendio, si sobbarcassero il compito di affrontare le fiamme con mezzi inidonei (estintori a corta gittata, con estinguente non adeguato alla combustione della carta, e comunque inefficace perchè non sedò il focolaio) e con il divieto di chiamare i vigili del fuoco, ma di risalire una gerarchia di segnalazioni attraverso telefoni da tempo rotti e anelli mancati per sovrapposizione di mansioni”. Secondo i giudici “era cioè diventato normale per la dirigenza aspettarsi da loro che superassero le remore di autoprotezione minimali per chiunque e che si esponessero così a rischi che solo la dirigenza conosceva e contribuiva a mantenere”. 

L’avvocato Ezio Audisio, legale di Espenhahn annuncia che presenterà ricorso in Cassazione. A una prima lettura delle motivazioni, il legale esprime però “una certa soddisfazione nel vedere riconosciuto l’errore giuridico dell’impostazione dei pm sul concetto di dolo, che questa sentenza riporta in un ambito più corretto anche dal punto di vista giuridico”. Ma la ricostruzione dell’evento, continua, “è ancora una volta frutto di forzature di alcuni elementi di fatto”.