Piacere quotidiano

“M’ama Food”, un catering con tutti i sapori dell’integrazione

Un progetto creato dalla cooperativa “Farsi Prossimo” che, sfruttando il linguaggio universale della cucina, mira a restituire dignità e speranza a donne rifugiatesi nel nostro Paese per sfuggire a guerre e povertà

Accoglienza, solidarietà e un’integrazione umana e culinaria. Sono queste le componenti alla base di “M’ama Food – Catering dal mondo”, un servizio di catering e banqueting molto speciale che vede alternarsi ai fornelli donne rifugiate politiche, fuggite da situazioni di guerra, povertà e pericolo e che, attraverso le specialità delle loro terre d’origine, riescono a ritrovare una loro identità. Un progetto creato dalla cooperativa “Farsi Prossimo”, nata nel 1993 con l’obiettivo di dare risposta ai bisogni dei rifugiati politici, persone la cui provenienza cambia in base alle diverse epoche e ai vari flussi migratori (dagli albanesi che sbarcavano in Puglia nei primi anni Novanta del secolo scorso, a coloro che fuggono dai conflitti del Corno d’Africa fino a chi si è allontanato dai Paesi della recente “primavera araba” o del tormentato Oriente di Pakistan e Afghanistan), ma con alcune esperienze comuni, come l’arrivo con mezzi di fortuna, il primo duro impatto con la nuova realtà e la distribuzione nei centri d’accoglienza sparsi in tutta Italia, da dove ripartire per “reinventarsi” una vita tra difficoltà linguistiche, timori e diffidenze.

Ed è proprio in una di queste strutture, il centro d’accoglienza femminile di via Sammartini a Milano, che è nata l’idea di “M’ama Food”: «Gli operatori del centro – spiega Rocco Festa, responsabile dell’area laboratori di “Farsi Prossimo” e ideatore del progetto – si sono accorti che il cucinare e i momenti conviviali nei quali si dividevano i pasti erano quelli in cui in maniera naturale cadevano le barriere di diffidenza e paura, in cui le donne si aprivano e si confrontavano, anche se magari provenivano da Paesi in guerra tra loro». Da qui un primo esperimento nel 2010, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, che ha confermato la bontà dell’idea: «Quel giorno vedemmo che la cosa poteva funzionare. Non solo perché le persone gradivano i piatti che venivano offerti, ma anche in quanto si creava una dinamica relazionale positiva sia tra le donne che cucinavano, sia tra loro e chi usufruiva del catering».

Un progetto che viaggia su un doppio binario; quello dell’integrazione, ma anche quello di offrire a queste donne autonomia e fare riacquistare loro identità e dignità: «Si sentono nuovamente realizzate – prosegue Festa – perché col catering possono donare per la prima volta qualcosa di loro al Paese che le ospita. E poi si sentono più sicure perché nei loro Paesi di origine erano abituate a cucinare per tante persone e perciò sull’argomento hanno delle competenze importanti che possono sfruttare». Conoscenze che vengono ampliate grazie a una fase di formazione enogastronomica alla quale ogni anno partecipano a rotazione circa un centinaio di donne: tutte vengono poi indirizzate a partecipare all’attività del catering, il cui nucleo fondante è attualmente costituito da 5 cuoche “fisse” sostenute da un gruppo di operatori della cooperativa. “M’ama Food” in pochi anni ha raggiunto un ottimo successo: «L’idea è piaciuta subito, anche perché aveva un carattere imprenditoriale e non meramente assistenziale. Così numerose aziende ci hanno sostenuto e ci hanno dato visibilità facendoci partecipare a eventi organizzati da loro».


Questo, unito ai servizi che il catering offre per le più svariate occasioni, dalle cerimonie, alle feste fino ai meeting aziendali, ha fatto sì che “M’ama Food” si trasformasse da una scommessa in un progetto d’impresa vero e proprio: «L’obiettivo è di riuscire a renderla una realtà completamente autonoma, gestita direttamente dalle rifugiate». Alcune delle quali, nel frattempo, hanno sfruttato le competenze acquisite nel progetto per trovare un’occupazione nel settore della ristorazione procurandosi un reddito proprio e una casa, punti di partenza essenziali per un nuovo progetto di vita: «Ma l’attività ha un valore importante anche per tutte le altre, che si ritrovano donando qualcosa di loro, della loro cultura d’origine. È incredibile vedere come donne che parlano dialetti diversi davanti ai fornelli riescano a trovare un modo semplice per comunicare». Il menù offerto da “M’ama Food” è lo specchio della filosofia del progetto: «Noi non ci definiamo un “catering etnico” – sottolinea Festa – ma un “catering dal mondo”, perché offriamo piatti provenienti dai Paesi d’origine delle rifugiate ma “contaminati” con elementi di altre tradizioni culinarie, in primis quella italiana». Così, in un’offerta variegatissima, convivono arancini di riso e falafel, lasagne e cous cous, caffè e succo di baobab, con una gustosissima “mediazione enogastronomica” in continua evoluzione come il processo d’integrazione che ad essa si lega: «All’inizio le donne erano abbastanza rigide sul rispetto della ricetta originale. Poi gradualmente hanno accettato che fossero rivisitate inserendo elementi che non ne stravolgessero l’identità ma ne offrissero una rilettura sensoriale e visiva».

(Per le foto grazie a KITCHEN PORTRAITS PROJECT CRoberto Morelli)

di Paolo Scandale

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