Giustizia & Impunità

Via D’Amelio, oggetto rosso non era agenda di Borsellino ma parasole per auto

E' quanto ha accertato la Polizia Scientifica di Roma: quello che poteva sembrare il quaderno scomparso con all'interno gli appunti del giudice antimafia si è rivelato essere un parasole utilizzato per coprire i resti dell’agente di scorta Emanuela Loi

Un pannello parasole, di quelli di cartone pieghevole utilizzati sulle automobili per riparare il cruscotto dal calore estivo. Solo che questo era di colore rosso e dopo il botto di via D’Amelio si era staccato dall’automobile alla quale apparteneva, finendo a brandelli a pochi metri dai resti carbonizzati di Emanuela Loi, una dei cinque agenti di scorta che persero la vita insieme a Paolo Borsellino il 19 luglio del 1992. Sarebbe questa la macchia rossa individuata nel filmato girato dai vigili del fuoco pochi attimi dopo la deflagrazione della Fiat 126 a pochi metri del civico 21 di via Mariano D’Amelio. Quel filmato era da anni agli atti delle varie inchieste della procura di Caltanissetta. Pochi giorni fa però era saltato fuori quel particolare: una macchia rossa sull’asfalto, molto simile all’agenda rossa di Borsellino, scomparsa subito dopo la strage. Per molti non c’erano dubbi: era quello il quaderno rosso in cui Borsellino appuntava le informazioni più delicate di cui era in possesso. La scatola nera della seconda Repubblica quindi non si sarebbe trovata nella borsa del giudice, come sostenuto per vent’anni, ma era proprio lì, a pochi metri dai resti delle vittime e inspiegabilmente integra dopo la terribile esplosione. “Se fosse vero sarebbe pazzesco” aveva esclamato a caldo il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. “Bisognerebbe capire – aveva continuato il magistrato nisseno – perché nessuno lo ha mai segnalato prima, dato che quel filmato è agli atti dell’inchiesta da anni”.

Nessuno lo aveva mai segnalato prima perché semplicemente non si trattava assolutamente dell’agenda rossa di Borsellino: troppo piccola come dimensioni (meno della metà di una targa di automobile) e straordinariamente integra dopo un botto che fa strage di uomini, distrugge auto e palazzi. E infatti i tecnici della polizia scientifica – come confermato al fattoquotidiano.it da fonti giudiziarie – avevano già appurato che quella piccola macchia rossa a pochi metri da una Citroen BX altro non era che una semplice pezzo di un pannello parasole per auto. Un pezzo di cartone senza importanza coinvolto nell’esplosione e sparpagliato sull’asfalto. “Non voglio commentare la notizia errata che ha destato scalpore – ha detto al fattoquotidiano.it Sergio Lari – certo è che la scientifica aveva già ampiamente attenzionato quel filmato. Noi adesso abbiamo chiesto un supplemento d’indagine, ma quella macchia rossa è troppo piccola per essere l’agenda. E oltretutto non si capisce come possa essere rimasta integra. E’ tra l’altro illogico che si trovi lì, a pochi metri dai resti della Loi e parecchio distante da dove è stato rinvenuto il cadavere di Borsellino. Se è vero, come ipotizzato, che Borsellino la tenesse sotto braccio quell’agenda sarebbe andata distrutta, e non sarebbe certo rimasta integra, tra l’altro a una ventina di metri da dove si trovava Borsellino”.

Sulla scomparsa dell’agenda rossa era stata aperta un’inchiesta in cui l’unico imputato era l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli. Il militare, filmato mentre si aggira con la valigetta di Borsellino, in via D’Amelio subito dopo l’esplosione è stato assolto dall’accusa di aver rubato l’agenda. Non è riuscito a ricordare con precisione il percorso della valigetta, ma ha ammesso di averla aperta, ricordando che al suo interno vide soltanto un crest (stemma) dei carabinieri. Proprio questa mattina il magistrato Giuseppe Ayala, tra i primi accorsi in via D’Amelio, è tornato in aula a ricostruire gli attimi successivi alla strage. “Non ricordo – ha detto deponendo al processo Borsellino quater – se ci fossero oggetti rossi sul luogo della strage in via D’Amelio. Ma è anche vero che in quel momento le nostre preoccupazioni ben erano altre”.

Anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, si è espresso in maniera molto critica riguardo a quel fotogramma che sembrava aver risolto una parte del rebus dell’agenda rossa scomparsa. “Agli agenti sono esplose in mano le pistole. Le mani erano ridotte a brandelli e le braccia sono state strappate. I loro corpi erano carbonizzati. Come si può pensare che l’agenda sia rimasta integra? Se volete fare un depistaggio fatelo secondo logica, in maniera che sia credibile e verosimile. Così c’è da vomitare”. Borsellino è parte civile nel nuovo procedimento che a Caltanissetta sta processando gli autori delle false dichiarazioni che già negli anni ’90 depistarono le indagini su via D’Amelio. “Nel momento in cui si cerca di arrivare alla verità si solleva l’ennesimo fumo per cercare di confondere le idee. Sono qui per conoscere gli autori del depistaggio. Da lì si risale ai mandanti. Mi interessa la sparizione dell’agenda rossa perché è lo snodo di quella strage e su quell’agenda si basano i ricatti incrociati che reggono gli equilibri di questa Repubblica. Se viene fatto un depistaggio ci deve essere un motivo”. Le ragioni di quel depistaggio però rimangono ancora oggi oscure. Come del resto rimane ancora senza risposta una domanda fondamentale: che fine ha fatto l’agenda rossa?

Twitter: @pipitone87